Luca Mamprin è il responsabile dell’oasi di Ca’ Roman.
“Solo dalle scuole si può imparare a capire il concetto della sostenibilità, io non vedo un’altra possibilità. Solo quando ti insegnano la meraviglia della natura sin da piccolo poi riesci a interiorizzarla e a diventare sempre più cittadino responsabile e conscio delle bellezze naturali e di tutto quello che hai intorno. Se provi a quarant’anni a essere educato, sì, magari puoi far qualcosa ma non credo che tu riesca a sentirlo veramente nel profondo.
L’anno scorso ho avuto l’incarico di responsabile dell’oasi ma oltre a un grande interesse, è il mio lavoro. Certo che c’è una passione ovviamente per la natura alla base ma quella ti spinge a fare la scelta del tipo di studi e di università, poi a lavorarci diventa una professione a tutti gli effetti. Ho fatto per tanti anni i controlli in agricoltura anche se non mi piaceva tanto, qui invece mi trovo bene.
Il rapporto con i turisti è spesso controverso. Qui ce ne sono, però è ancora un luogo dove si riesce ad avere un dialogo. Non si parla di migliaia di persone in spiaggia, si parla di molte decine. Quindi non dico tutti i giorni ma quasi, io ma anche altri colleghi, attivisti, volontari che sono bravissimi, veniamo qui e cerchiamo di dialogare e parlare con le persone. Soprattutto però l’importante è coinvolgere le popolazioni locali perché sono loro che hanno 365 giorni all’anno la possibilità di preservare questo posto.
Anche chi viene qui per fare birdwatching costituisce una forma di turismo, ma tutto dipende da come il turista si diverte. C’è tanta gente che ama avere la barca col motore grosso e fare le corse qui davanti, poi quando è il momento di pranzo legano la barca alla sabbia e fanno il picnic. Ora questa è una riserva e in quanto tale ha delle regole. Già dagli anni ’70 sono stati fatti dei cambiamenti immensi, prima era un campo da Motocross, ora una riserva. Il vero problema è la pressione turistica, ma non c’è un vero rimedio a questo. Purtroppo in questo paese siamo sempre di più e il viaggio è la rappresentazione del benessere, è diventato uno status symbol. L’unica cosa che può salvare questi posti, ripeto, è la cultura, la conoscenza, che ci sia qualcuno pagato che spieghi e sensibilizzi all’ambiente. Purtroppo, però, il comune in tutto questo ha tagliato i fondi, non permette nemmeno più di realizzare il Forum del Verde, tavola rotonda per gestire il verde pubblico a cui possono partecipare tutte le associazioni di salvaguardia del territorio. Queste attività resistono grazie al volontariato e alla forza di persone che credono davvero nella salvaguardia di questi posti.
Tra un po’ di anni mi piacerebbe vedere Ca’ Roman come un santuario di tartarughe, un luogo chiuso, magari aiutato da un biglietto all’ingresso. Ma anche se fosse gratuito la cosa fondamentale sarebbe la visita guidata. Nella realtà però mi rendo conto che non sia fattibile, ovviamente ci si scontra con la realtà locale secondo cui l’oasi è dei chioggiotti e dei pellestrinotti. Riconosco però che negli ultimi decenni è comunque nata una maggiore consapevolezza, come nel caso di una squadra rugbisti che ha pulito la spiaggia.”
di Irene Melinu