La nostra città funziona al contrario, e ora ne ho le prove.
L’anno scorso quasi 11 milioni di turisti hanno calpestato le pietre di Venezia. Undici milioni. L’equivalente del Belgio concentrato in un punto. Ho controllato tre volte gli zeri, perché faticavo a crederci.
Al contrario, i residenti a Venezia sono circa 60mila. Se proprio vogliamo essere magnanimi, possiamo aggiungere il flusso dei pendolari, che, sempre secondo le statistiche, riesce a far aumentare il volume dei residenti anche sino a 200mila unità, nelle ore di punta.
Facciamo due conti, mettiamo noi contro di loro. Siamo cinquantatré a uno. Pura, fredda, semplice matematica. Neppure Napoleone riuscirebbe a cavare qualcosa di buono da questa Waterloo statistica. Ovunque sia, un veneziano sa che sarà circondato da 53 sconosciuti, pronti a intralciargli la via per il panificio e a ingombrargli la calle che porta al supermercato.
Venezia palindroma
Ecco perché la nostra città funziona al contrario. I veri cittadini, forse, sono loro. I turisti. Basti pensare a come l’intera Venezia sia plasmata per assecondare i loro bisogni. Dai bagni pubblici ai percorsi consigliati, dagli occhi dei gufi di TripAdvisor fino ai gondolieri-strilloni. E noi, che qui ci viviamo, possiamo solo prendere atto di questa tendenza. Farci da parte, rintanarci nelle quattro osterie che ci rimangono, e dissolverci senza che Venezia se ne accorga.
Passeggiando per le calli attorno a San Marco, si può avere una prova incontrovertibile della nostra minoranza. Lungo la via che porta all’Accademia ci si accorge che si è davvero cinquanta contro uno, e la cosa più annichilente è che non possiamo farci nulla. Proprio come Napoleone, che a Waterloo non poté fermare gli acquazzoni sul campo di battaglia.
E allora, tanto vale divertirsi. Prenderla con filosofia.
Girare per le calli sovraffollate di Venezia può trasformarsi in un’esperienza gnoseologica che non ha nulla da invidiare al viaggio dell’antropologo su un’isola sperduta. Perché la quantità di materiale umano che passa sotto gli occhi è davvero straordinario.
Il turista, vero e proprio Ulisse del nostro secolo, merita tutte le nostre attenzioni. Non più mera cifra statistica, diventa un corpulento e coloratissimo essere umano di varie dimensioni. Un simpaticone sorridente, di solito accompagnato da un’appendice grossa quanto lui che, nella vulgata, chiamiamo “valigia”, sottovalutandone l’importanza biologica e strategica.
Anatomia del turista
Il turista, dal punto di vista anatomico, possiede delle capacità motorie eccezionali. Innanzitutto è un infaticabile camminatore: può sorbirsi anche venti chilometri al giorno di passeggiate panoramiche senza battere ciglio, e forse (ma non è ancora stato dimostrato dagli studi) immagazzina acqua come i dromedari.
Ma le sue qualità motorie non finiscono qui. Ad esempio, quando perde l’orientamento in una calle strettissima, si comporta come un pavone nella stagione degli amori: sfodera la sua cartina di Venezia scala 1:20, e blocca in toto il regolare flusso di pedoni. Oppure, quando è provvisto di valigia, riesce sempre e comunque a tagliare la strada a chi procede in via opposta, o a urtare inavvertitamente un passante mentre osserva vetrine grottesche e male illuminate.
La migliore qualità
Ma il turista non è soltanto una sorpresa anatomica. Ci secca ammetterlo, ma il turista che viene nella nostra Venezia è, in fin dei conti, un fine umanista. Come si potrebbe spiegare altrimenti il serpente umano fuori dal Palazzo Ducale, o la schiera infinita che attende di ascendere sul campanile di San Marco, incurante del clima e del tempo perduto per sempre?
Molto spesso li invidio, i turisti. Io ai musei mi annoio dopo due ore, ma loro sono stakanovisti della cultura.
Il turista è dunque il vero uomo vitruviano del nostro secolo. Sempre pronto a tutto, sempre disposto a sopportare qualsiasi sofferenza psico-fisica per ottenere il tanto ambito selfie sul Ponte dei Sospiri. E non si può dire che Venezia non provi a difendersi: tra acqua alta, freddo glaciale e nevicate siberiane, però, la spuntano sempre loro.
Mai sottovalutare la tenacia di un turista.
L’homo novus
In fin dei conti, come abbiamo detto, il nostro visitatore è un fine umanista, saldamente piantato nelle cose del mondo: lui è l’homo novus invocato sin dalla notte dei tempi. Il turista disprezza così tanto il materialismo che non si cura neppure dei soldi che spende; e quindi sperpera il suo stipendio straniero in chincaglierie e pranzi di dubbio valore. Solamente un uomo come lui – un uomo di puro pensiero – può passare indenne attraverso la lobby dei ristoranti veneziani senza battere ciglio. Anzi, con una leggerezza, con un understatement, da nobile d’altri tempi.
Forse, lo ripeto, il vero problema siamo noi.
Noi che ci arrabbiamo, che proviamo sentimenti bassi come la frustrazione per il ritardo che si accumula o la rabbia per un disagio diventato consuetudine. In fondo, il futuro sono loro: uomini e donne che hanno scoperto il paese dei balocchi, che girano come Pinocchio davanti alle meraviglie che gli mostrano il gatto e la volpe.
Per questo mi auguro che un grande antropologo, un nuovo Malinowski alla ricerca di nuovi Argonauti, approdi ai lidi veneziani per studiare a fondo il turista. Credo che per i pochi veneziani rimasti, leggere una vera Fenomenologia del turista potrebbe esser d’aiuto. Permetterebbe loro di comprendere la condanna che pende sulla loro testa. Sarebbe un’ultima ninna-nanna, prima della notte definitiva.
Oh, grazie! D’accordissimo.
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