“Oh ciao cara!” – Esordisce con tono gioioso ma pacato.
“Oh che bello anche tu scrivi?” “Beh, non sono mica geloso. Anzi! Io sono contento, sai?”.
Mi spiega subito che lui crede nell’importanza di divulgare la parola, soprattutto quella poetica.
Ha iniziato 24 anni fa a dare il suo personale contributo a sostegno di questo ideale, e la sua è stata una scelta radicale, dovuta a una convinzione ferma e profonda: 16 anni fa ha infatti rinunciato a tutto ciò che aveva in Sardegna (insieme a una presunta eredità) per poi trasferirsi a Venezia. Perché? Semplice, voleva conoscere la vita, quella vera. Ne parla come se potesse accarezzarne l’animo ora: “Volevo capire e conoscere la vita nella sua semplicità, nella sua più vera essenza”. Per farlo, decise di iniziare a scrivere poesie in onore di tutto ciò che la vita ha da offrirci. Arrotolate e guarnite con un nastrino rosso, da allora, le deposita in una scatola di cartone, vicino a Campo Santa Margherita.
“Ciao Antonio!” urla un passante sfrecciandomi in fianco e interrompendo così la delicata atmosfera che si era creata sin da subito, svelandomi però il nome del mio interlocutore.
Ma Antonio non si distrae: “Beh sai, qualcosa dovevo pur fare. Il denaro serve a mantenere in vita il mio corpo, ma è la poesia a nutrire la mia anima. E poi, non mi piaceva presentarmi come “barbone” o “vagabondo”. No, non volevo nemmeno che la gente vedesse che dormivo sui cartoni per strada. Ho vissuto così per un po’ di tempo, svegliandomi la mattina presto per pulire tutto e scomparire. Come se niente fosse.”
“Io sono ufficialmente poeta.”
Questa rivisitazione della professione di letterato, però, non è esattamente riconosciuta presso le autorità e infatti Antonio ha avuto qualche (molti) battibecchi, prima con la polizia per le sue “dimore”, e poi con i sindaci dei suoi “uffici all’aperto” in giro per le città tra Venezia e Bologna.
“Ma dove corri!? E non ti fermi a salutare? Il lavoro uccide!” avverte disperato una ragazza. Poi si gira di nuovo verso di me e mi dice: “guarda che teatro mi tocca fare per far capire alla gente!”.
Antonio non è timido e nemmeno troppo riservato, svela tranquillamente di avere 60 anni e di non dimostrarli perché si è liberato del serial killer che perseguita molti di noi: il lavoro.
In qualità di poeta ufficiale, se scambierete due chiacchiere con Antonio, lui cercherà di persuadervi ad apprezzare di più la vita. Se, invece, non avrete la fortuna di vederlo aggirarsi furtivo attorno al suo banchetto, afferrate un “pidigozzo” e fate cadere una moneta al suo posto. Ci proverà la sua parola scritta a convincervi, e Antonio sarà contento della ricompensa, ma più di tutto, del vostro sorriso alla vita.