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20. Dal Nuovo Mondo

Mrs Jeannette Thurber (1850-1946) non avrebbe potuto accontentarsi. Voleva fondare una scuola di musica a New York, ma non una banale scuola dove i suoi studenti imparassero, come da anni si faceva negli Stati Uniti, a limitarsi a copiare i grandi maestri europei, bensì una scuola nazionale dove coltivare una musica americana. Per avvalorare il suo ambizioso progetto e affidarlo a una guida capace, aveva bisogno di una celebrità, e non una celebrità qualsiasi.

Antonín Dvořák (1841-1904) si rivelò presto il suo uomo. Nato poco lontano da Praga, nell’allora Impero Austro-Ungarico, Dvořák aveva studiato musica a Praga e qui aveva inizialmente suonato la viola al Teatro Provvisorio Boemo, anche sotto la direzione di Bedȓich Smetana. Durante questo iniziale periodo di studio e lavoro, Dvořák aveva cominciato a comporre (Sinfonia n.1 in Do Minore e il ciclo Cipressi, per citare alcuni lavori), sebbene la vera svolta avesse luogo nel 1874, quando vinse il premio nazionale austriaco per la composizione (la giuria contava anche Brahms) ed ebbe finalmente l’occasione di dedicarsi con più agio a questa attività. Vinse il premio di Stato altre volte, e divenne infine famoso in tutta Europa. L’opera di Dvořák era caratterizzata, come quella di Smetana, dalla ripresa di stilemi tipici della musica popolare ceca, boema e morava (in particolare, nei ritmi), che venivano rielaborati nelle forme classiche della musica europea. Nell’ottica di Mrs Thurber, un compositore che sapesse apprezzare l’importanza della musica popolare-tradizionale era fondamentale. Il fatto che Dvořák avesse anche insegnato al Conservatorio di Praga, poi, non guastava.

Inizialmente, Dvořák rifiutò l’offerta. Poi, nel 1892, sbarcò negli Stati Uniti. Il National Conservatory of Music era un esperimento innovativo, non solo nell’intento di creare uno spirito musicale nazionale, ma anche nella sua realizzazione: era finanziato da filantropi privati, aperto, pare, quasi gratuitamente a maschi e femmine e, straordinario per l’epoca, a studenti neri. Purtroppo, l’esperimento non sopravvisse alla sua patrona. Già dal 1900 la fama del conservatorio diminuì considerevolmente e dal 1930 non ci sono più registri di una qualsivoglia attività.

L’esperienza negli Stati Uniti, tuttavia, fu per l’opera di Dvořák molto stimolante. Sin dal proprio arrivo, sostenne come la musica dei nativi americani e degli afro-americani fosse essenziale alla fondazione di uno stile musicale “alto” prettamente americano. Uno dei suoi allievi, Harry T. Burleigh, anch’egli poi compositore, lo introdusse al mondo degli spirituals; Dvořák sostenne: «In the Negro melodies of America I discover all that is needed for a great and noble school of music» (New York Herald, 21 maggio 1893).

Nel 1893, la New York Philharmonic gli commissionò una sinfonia. Dvořák completò presto il lavoro, e la prima si tenne nel dicembre dello stesso anno. La partitura venne consegnata al direttore dell’orchestra con la dicitura «Z nového svĕta – From the new world». Il successo fu immediato e strabiliante. Ancora oggi, si tratta di una delle sinfonie più note al mondo, complice forse una somiglianza quasi sospetta (ma tematicamente molto appropriata) nella colonna sonora de Il Signore degli Anelli.

La sinfonia si potrebbe leggere come lo sviluppo delle impressioni del compositore al proprio arrivo negli Stati Uniti. La traversata delle vastità oceaniche, il fremito della giovane metropoli, l’atmosfera dal sapore diverso, nuovo e sorprendente, nel bene e nel male. C’è chi sostiene che uno dei temi del primo movimento sia una ripresa dello spiritual Swing Low, Sweet Chariot, forse una voce per strada.

Segue il momento struggente che è il secondo movimento, la dolcezza infinita e al contempo malinconica del ricordo di casa, seppur immersi in un ambiente di ampi respiri e praterie a perdita d’occhio. Si può quasi immaginare le pianure dell’Iowa (dove Dvořák trascorse l’estate di quel 1893) nel sole del tardo pomeriggio, e il pensiero dei figli rimasti in patria, che raggiungeranno Dvořák e la moglie solo dopo la fine di maggio. Una bellezza maestosa e mesta al contempo, che gonfia il cuore. Non è un caso che, nel 1922, un allievo di Dvořák abbia trasformato il tema principale di questo movimento in una canzone dal titolo Goin’ Home.

Il tema del “grande Paese” torna più movimentato nel terzo movimento, che Dvořák disse essere ispirato a una scena del poema di Longfellow The Song of Hiawatha (1855) dove gli indiani ballano al matrimonio del loro capo. Come in tutta la sinfonia, basata su una scala pentatonica, in questo movimento in particolare echeggiano le sonorità e i ritmi della musica nativo-americana.

To the sound of flutes and singing, / To the sound of drums and voices, / Rose the handsome Pau-Puk-Keewis, / And began his mystic dances.

First he danced a solemn measure, / Very slow in step and gesture, / In and out among the pine-trees, / Through the shadows and the sunshine, / Treading softly like a panther. / Then more swiftly and still swifter, / Whirling, spinning round in circles, / Leaping o’er the guests assembled, / Eddying round and round the wigwam, / Till the leaves went whirling with him, / Till the dust and wind together / Swept in eddies round about him.

Then along the sandy margin / Of the lake, the Big-Sea-Water, / On he sped with frenzied gestures, / Stamped upon the sand, and tossed it / Wildly in the air around him; / Till the wind became a whirlwind, / Till the sand was blown and sifted / Like great snowdrifts o’er the landscape, / Heaping all the shores with Sand Dunes, / Sand Hills of the Nagow Wudjoo!

Il movimento conclusivo è il più spettacolare. Si può quasi immedesimarsi nella luce del sole che sorge e a poco a poco tocca tutta l’immensità di un territorio ancora ignoto. Dalla vita febbrile di una città a un placido fiume che si dipana lento per vaste pianure, mandrie di cavalli che corrono, e il sole che continua a sorgere, un chiaroscuro quasi violento e accecante. Ogni cosa è sfiorata dai raggi, anche le sensazioni del compositore, che, in un gioco magistrale di reminiscenze portato avanti attraverso tutta l’opera ma che qui trova la sua più efficace espressione, riprende i temi dei movimenti precedenti per nutrire nell’ascoltatore il contrasto di emozioni. Stupore quasi intimorito, malinconia, dolcezza, invasamento della danza rituale, tutto si mescola e si confonde nel turbine vasto e frenetico che è il Nuovo Mondo.

Di Rachele S. Bassan

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