#5. Una giornata e una provocazione

FUORI LINEA

Tempo di lettura: 6 minuti

La mattina di domenica, ultimo giorno del Festival, inizia drammaticamente presto, verso le 6:30, per mettersi in fila e assicurarsi i tagliandi degli eventi della giornata. Gli sportelli apriranno solo alle 9, ma questo è il giorno della conferenza di Zerocalcare e quindi noi alle 6:30 siamo là, in mezzo a piazza Trento Trieste, a bivaccare insieme a, fortunatamente, pochi altr* temerar*. Per le 7 la piazza è piena, per le 8 la fila delle persone in attesa si snoda già in diverse vie della cittadina, alle 9 si vocifera che termini in provincia di Rovigo. I nostri animi sono ormai mondati dagli istinti omicidi che questa mattina nutrivamo nei confronti di M., rea di averci tirat* giù dal letto a forza: ora c’è solo riconoscenza e ammirazione per la sua grande lungimiranza. La formula del “chi prima arriva meglio alloggia” resta la più egualitaria mai formulata dal genere umano. La prima conferenza della giornata, dal titolo “Ricomincio da tre”, è in programma per le 11:30 nel cortile del castello, in pieno centro città. Abbiamo tutto il tempo per una colazione abbondante e per passare da casa a recuperare quella Peroni da 33 mezza bevuta, aperta dalla sera prima. In scioltezza raggiungiamo la nostra meta alle 11:28 e subito cominciamo a scrutare i muri perimetrali del cortile, l’idea di trovare un posto a sedere nella platea di sedie sistemate per l’occasione non ci sfiora nemmeno per un secondo, in cerca di uno spazio dove sederci per terra (è già la seconda volta della giornata e naturalmente non sarà l’ultima).

Si comincia puntualissimi con la presentazione dell* tre ospiti: ci sono l* giornalist* freelance Sarah Gainsforth e Maurizio Franco e poi c’è la sociologa Francesca Coin. Proprio come l* ospiti, tre sono i temi dell’incontro: casa, lavoro e reddito, “le tre questioni essenziali da cui ripartire” si legge nel programma.

Gli interventi che si sono susseguiti sono riusciti ad evidenziare chiaramente un aspetto determinante e centrale: guardare a reddito, salario e casa come separati e considerarli autonomamente non fa che viziare il giudizio della società al riguardo delle singole tematiche. Il paradosso poi che oggi a parlare di lavoro sia un personaggio come Briatore o che, di fronte alla dichiarazione che il reddito (con i suoi 560 euro al mese, ndr) farebbe “concorrenza al salario”, le forze politiche tutte abbiano intonato un unanime coro di silenzio rende il tutto ironicamente sconsolante e – diciamolo pure – molto italiano.

Del nostro Paese esce un ritratto di una sorta di bizzarria socio-geografica in cui i salari, al contrario del resto d’Europa, si sono abbassati e la povertà continua ad essere sistematicamente colpevolizzata. Da segnalare, e possibilmente da indagare, il riferimento al lavoro di Barbara Ehrenreich: a metà tra la ricerca socio-antropologica di campo e l’esperimento sociale la studiosa statunitense si è fatta assumere per svolgere i lavori più umili nel suo paese, provando a vivere del solo salario guadagnato. Il risultato? Il sottotitolo del suo libro “Una paga da fame” (edito in Italia da Feltrinelli) recita: “Come (non) si arriva a fine mese nel paese più ricco del mondo”.

La tutela del reddito si inserisce in un panorama del mondo del lavoro anch’esso in trasformazione che promette di stravolgersi ancora di più nella prossima legislatura. Sembra che la promessa di flessibilità, il trattamento riservato a certe categorie di lavoratori e lavoratrici in due anni di pandemia, la digitalizzazione, i licenziamenti di massa ed il sistematico attacco di questure e magistrature al diritto allo sciopero non bastino a evitare che il tasso di insoddisfazione lavorativa raggiunga i massimi storici anche in Italia, convengono l* relatric*. Anche senza che si registrino fenomeni paragonabili alle “grandi dimissioni” americane, studiate da Coin, sono sempre più le persone che riducono o ridimensionano il proprio carico lavorativo, in alcuni casi rinunciandovi del tutto e, sempre, compiendo un vero e proprio salto nel buio. Buio che è risultato di un’eclissi dei diritti, anche dei più fondamentali come quello all’abitare: finita l’era de “l’Italia paese di proprietari”, ormai le famiglie che pagano un mutuo sono meno della metà di quelle che sono in affitto o in usufrutto, ma comunque manca del tutto una politica sugli affitti, mentre questi continuano a salire tra gentrificazione, turistificazione coloniale (il modello Air BnB che per molt* sostituisce il reddito del lavoro con la rendita) e aumento del costo della vita.

Figl* della generazione che hanno attraversato e studiato, l* relatric* parlano di una fascia di lavoratori e lavoratrici gravate dalla consapevolezza tragica che al proprio datore di lavoro il fatto che il dipendente sia vivo o morto non interessa proprio. L’enfasi individualizzante sulla produttività, ma con i tuoi tempi, sulla competizione, ma quella sana, sull’essere achiever, ma essendo veramente te stess*, porta ad un conflagrare di un burnout sempre più di massa e financo, in certi settori, a realizzare di essere costrett* a lasciare il lavoro per sopravvivere. Reduci poi del 2008 e del suo fallimento sul palco analizzano gli ultimi brutali attacchi al welfare pubblico, immolato sull’altare dell’efficienza e sostituito da un micologico proliferare di bonus, incentivi una tantum rivolti a sempre più numerose, differenziate e – naturalmente – in competizione, categorie “fragili”. “Manca l’idea di una politica per tutti” sentenzia Gainsforth.

Ripetute sono anche le incursioni nel campo dell’attualità politica che portano a significative puntualizzazioni su un paio di aspetti che fanno intravedere una sorta di timido ottimismo: l’accusa di voto di scambio mossa ai Cinque stelle rispetto al reddito di cittadinanza offre la possibilità, questa volta al moderatore Alessandro Gilioli, di intervenire a gamba tesa a specificare che “il voto di scambio è personale – io ti voto e tu assumi mia sorella – mentre la difesa degli interessi di classe (quella lavoratrice per il reddito e quella padronal-imprenditoriale con, ad esempio, la flat tax, ndr) è il compito dei partiti”. Franco, forte dell’esperienza nelle periferie romane, specifica invece come il preteso radicamento di Fratelli d’Italia nelle classi popolari è piuttosto un radicamento del senso di impossibilità (lo stesso che premiò prima Renzi poi Salvini con il 40% e che ha oggi premiato Meloni) e che è soltanto un’altra espressione di quella ben più ampia e radicata “distanza dalla politica di palazzo” che determina l’astensione di quasi metà dell*  votant*.

Si apre lo spazio alle domande dal pubblico e, dopo qualche esitazione, il fiume di “più che una domanda la mia è una considerazione” e questioni che fanno dubitare di aver assistito alla stessa conferenza è in piena. Il prossimo appuntamento della giornata è tra meno di un’ora, ma poco distante – proprio in centro città – e allora abbiamo tempo di pranzare con calma.

Mentre ci allontaniamo dal castello una considerazione viene da farla anche a noi: alla luce delle giuste critiche ad una sinistra che non vede nemmeno più le classi proletarie, delle bordate al PD partito ZTL che vince solo nei centri città ricchi e ai macchiettistici “safari etnografici” dei suoi membri nelle borgate durante la campagna elettorale; alla luce – insomma – dell’interrogativo da tenere sempre a mente “vivibile/godibile per chi?” senza dimenticare le vite e le esigenze di chi paga con l’espulsione e la ghettizzazione il prezzo della nostra “riqualificazione”, perché siamo in piazza del Municipio a mangiare una striminzita fetta di pizza pagata 4 euro? Provocatoriamente, senza l’arroganza di voler dare lezioni a nessun* ma con l’ambizione di dare consigli: perché il Festival di Internazionale si concentra in quelle stesse sale e palazzi che si accusano di essere troppo lontane dalla gente? Perché l’edizione 2023 del Festival non “esce di casa” e comincia a disseminarsi nella città (e fuori) coinvolgendo il territorio reale anche oltre le giornate della kermesse, avviando progetti, coinvolgendo ragazz* non solo per staccare biglietti ma per costruire comunità che possano resistere agli attacchi di un presente dalle tinte tanto fosche? Forse ci sarebbe a quel punto un po’ meno desolazione nei toni e negli esiti dei diversi incontri. E forse, a quel punto, le persone porterebbero a casa un’esperienza realmente politica oltre che un giallissimo programma da mettere in mostra con l* amich*.

di Francesco Gottardi

L’immagine è una fotografia dell’autore.

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