Fu in quel momento che il dolore di Marco iniziò a tramutarsi in rassegnazione. Se ne accorse perché, per quanto grottesco, da vuota che era stata l’assenza della madre in vita, negli ultimi anni e ora da morta, diventò qualcosa di concreto, di presente. Ciò che aveva accettato di perdere stava ritornando cristallizzato nel ricordo di una felicità che però non avrebbe potuto riprodurre per talea. Ché la felicità mica si riproduce per talea: non funziona quasi mai, come col glicine.
Il romanzo di Venturini si apre con l’immagine di una donna, Alfreda, che mescola una tazzina di caffè, mentre fuori, presso il Villaggio Tognazzi, nevica. Sin dalla prima pagina si intuisce la nota malinconica e al contempo velatamente ironica che attraverserà tutta la storia, fatta di ricordi di una vita felice, ormai giunta a un altro capitolo, di memorie ancora vive, di una società vitale e allegra, ora contaminata da una decadenza generalizzata.
Torvajanica, nei pressi di Pomezia non è sapientemente descritta durante l’estate, momento in cui recupera parzialmente l’atmosfera di svago che dagli anni ’50 faceva di questo luogo una delle mete preferite per le vacanze dai romani. Nelle memorie di Alfreda e degli altri personaggi riaffiorano le personalità note che nel passato hanno attraversato quei lidi, animando il paese. Due personaggi in particolare ricorrono, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, il cui ricordo in Alfreda diventerà una vera e propria ossessione, assecondata da un pescatore, amico da sempre del defunto marito, il figlio Marco e un barista transessuale, Er Donna. Questo gruppo, accomunato dalla più o meno ridotta disponibilità economica, da una vita giunta a un momento di stallo per le rispettive ragioni individuali, rinsalderà le originarie convinzioni di ciascuno ma genererà un cambiamento, costituendo un definitivo alone di decadenza.
L’imminente possibilità di uno sfratto per mano dell’ufficio igiene e la situazione psicologica complicata di Alfreda spingeranno gli altri tre ad assecondare le sue fantasie deliranti, partecipando collettivamente in una impresa che ha del ridicolo ma realizzata con una fredda serietà, con sporadiche inclusioni di situazioni avvincenti, quali il confronto con la criminalità organizzata e altri eventi violenti, con crudezza e dettaglio.
Venturini utilizza con giusta misura qualche espressione del dialetto romano per dare più veridicità alla storia e far permeare il sapore dell’atmosfera del litorale laziale. Non mancano inoltre riferimenti alla cultura popolare contemporanea, tra cui meme e espressioni gergali recenti consegnando la vicenda all’attualità, altrimenti non comprensibile. In generale entra nello specifico di vicende che tutto sommato potrebbero essere le nostre, o quelle di nostri familiari, aggiungendo degli elementi assurdi che danno un tono avvincente ma anche ci ricordano che ciò che stiamo leggendo è un libro, una storia, plausibile ma immaginata. In questo senso acquisisce di valore la postilla iniziale, come pure appare in alcuni film, che suggerisce la fantasia delle vicende, in cui ogni riferimento a persone e cose è puramente casuale.
Perché potrebbe vincere: perché racconta con velata ironia vicende melanconiche e surreali, svelando con carattere e intelligenza personaggi che non sono supereroi, ma normali, con i loro problemi e le insicurezze e stranezze. Facendo eco alle descrizioni pasoliniane delle borgate romane e del sottoproletariato che le abita, attualizza il concetto nella contemporaneità e dimostra che la società, sebbene abbia subito modifiche, essenzialmente non sia radicalmente cambiata. Gli anni ’60 e ’70 e la cultura popolare di quegli anni ancora aleggiano con il loro spirito, offrendo ricordi alle persone più in là con l’età, ricordando con nostalgia un tempo ormai passato, forse più felice.