Chiesa di Santo Stefano

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Attraversare campo Santo Stefano può essere in tutti i sensi considerato un viaggio nel tempo. Passato il novecentesco Ponte dell’Accademia, orgoglio della produzione ingegneristica fascista costruito in poco più di un mese nonostante fosse il ponte ad arco ligneo più grande d’Europa, si possono ammirare: la chiesa di San Vidal, antichissima parrocchia medievale poi restaurata con chiari motivi classicheggianti; il rigoglioso giardino di palazzo Franchetti; palazzo Pisani, seminascosto ma imponente, simbolo del potere di questa famiglia dogale famosa per la sua villa di Strà nell’entroterra. La vista, tuttavia, va inevitabilmente a cadere sulla parete laterale della chiesa di Santo Stefano. 

La fondazione di questo luogo di culto risale alla fine del XIII secolo, lo stesso periodo che vide la nascita dell’ordine che lo volle costruire, ovvero i frati eremitani di Sant’Agostino. Come si è già più volte detto nei precedenti articoli, il XII e il XIII secolo videro un pullulare di piccoli e grandi gruppi di laici, simbolo dell’altissima e socialmente estesa spiritualità medievale, che desideravano vivere una vita ascetica e di rinuncia al mondo senza però entrare a far parte dei tradizionali ordini monastici, ritenuti troppo corrotti e potenti per poter davvero offrire una vita in linea con gli insegnamenti del Vangelo. Queste realtà erano però per il papato possibili elementi di turbamento e dissenso, e perciò nei loro confronti venne adottata una politica di regolarizzazione che li trasformò in ordini veri e propri, con regole, statuti, priori e ricchezze. È ciò che accadde ad esempio ai francescani, ma anche a due gruppi di eremiti toscani che il papato unì prima sotto l’unica regola di Sant’Agostino d’Ippona (1243), poi ad altri gruppi di eremiti e devoti predicatori laici definiti, nel 1274, Ordine mendicante degli eremitani di Sant’Agostino. Un nuovo ordine di frati che, esattamente come i francescani e i domenicani, godette di un’enorme crescita territoriale e numerica grazie all’attività predicativa, al legame col papato, all’inserimento nel mondo universitario (appartenenti all’ordine agostiniano erano Egidio Romano, Nicola da Tolentino e perfino il padre della genetica Gregor Mendel) e all’intensa spiritualità fondata sul pensiero di Sant’Agostino, basato sull’amore verso il prossimo, sulla grazia e sulla figura di Gesù Cristo. 

I frati agostiniani non poterono esimersi dall’insediarsi anche a Venezia, dove però scelsero come luogo di preghiera una zona non molto eremitica, poiché vicina a San Marco, cuore pulsante della città; questa decisione però può essere facilmente spiegata con la volontà di portare una nuova e più incisiva predicazione a un pubblico più ampio, stanco della corruzione e dell’ignoranza del clero secolare. Che l’attività degli agostiniani ebbe successo lo mostrano le dimensioni imponenti della chiesa che costruirono, ideali per le folle che venivano ad ascoltare le omelie e a pregare sul corpo del santo, che si dice sia in questa chiesa custodito per intero. Culto, questo, molto probabilmente “rubato” alla cattedrale di Caorle, cittadina lagunare ad est di Venezia, che si vantava di possedere il cranio del santo salvato dagli abitanti della città romana di Concordia Sagittaria. La ricchezza dell’ordine è ben visibile anche nelle sepolture di personaggi importanti che proprio qui vollero essere inumati, come il comandante Bartolomeo d’Alviano, il generale Domenico Contarini, la cui statua equestre è in controfacciata, e il grandissimo doge Francesco Morosini, conquistatore della Grecia e per questo noto come il Peloponnesiaco, il cui palazzo di famiglia si affacciava proprio su campo Santo Stefano. Alla chiglia delle navi da lui usate per solcare il Mar Mediterraneo e inseguire le imbarcazioni turche è ispirato il soffitto della chiesa. In linea con lo spirito degli ordini mendicanti, le decorazioni della chiesa sono poche: per i membri degli ordini mendicanti la chiesa deve essere spoglia e sobria in quanto simbolo della nuova Chiesa riformata, attenta alla vita spirituale del mondo e desiderosa di abbracciare i più puri ideali di vita evangelica. Nonostante ciò, l’eco geometrica creata dalla sequenza degli archi a sesto acuto e il bellissimo soffitto a carena di nave permettono a questa chiesa di non avere nulla da invidiare anche alla più decorata chiesa barocca.  

La posizione particolare della chiesa di Santo Stefano fa sì che si sia portati ad entrare per la porta laterale e a uscire per quella principale, sormontata da un’elegante lunetta in gotico fiorito che si staglia come unica decorazione dell’austera facciata in mattoni. Imboccata l’uscita vi consiglio di svoltare subito a destra e, attraversato il ponte, di mettervi al centro del campo dell’Anzolo; da questa posizione potrete sicuramente ben osservare la non poca pendenza del campanile della Chiesa, dovuta in parte ad un altro particolare ignoto ai più: la parte finale della struttura posa infatti non sulla terra ma su un ponte soprastante un rio, un piccolo canale navigabile solo con la bassa marea. La vista permette poi di spaziare sull’antico convento dei frati agostiniani, ora adibito a sede della Corte dei conti proprio per la sua vicinanza al centro cittadino di cui abbiamo precedentemente detto. C’è però un ultimo particolare che spiega l’importanza di questo luogo di culto veneziano: ritornando in campo Santo Stefano, se si gira a destra subito dopo il ponte su calle del Pestrin, ci si ritrova in un campo dalla forma e dal nome alquanto particolare: campo dei Morti. La sua particolarità è dovuta al fatto di essere sopraelevato, caratteristica che viene dalla sua origine: come l’abside della chiesa, questo campo non posa sulla terra, ma su un antico cumulo di morti risalente al tempo della peste. Non essendoci abbastanza spazio nella fossa comune che venne approntata vicino alla chiesa di Santo Stefano, si decise di continuare ad ammucchiare i cadaveri e di ricoprirli poi con terra e mattoni. Una scelta particolare ma che spiega la sua vicinanza alla chiesa: era infatti considerato più desiderabile e spiritualmente appagante per gli uomini e le donne del Medioevo venire sepolti vicino ad una chiesa conventuale, abitata da frati ritenuti pii e strettamente legati al divino, uomini che avrebbero confortato e aiutato i sopravvissuti e che, soprattutto, avrebbero pregato in eterno per le anime degli sventurati colpiti dal morbo venuto dall’Oriente.

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