Il Giappone oltre le metropoli e gli stereotipi – II

Isola di Sado

tempo di lettura: 3 minuti

A luglio, insieme ad un’amica ho voluto spingermi oltre il raggio delle gite fuori porta e, con un autobus notturno, ho raggiunto Niigata, una città sulla costa del Mar del Giappone, da cui ho preso il traghetto delle 6 del mattino per l’isola di Sado, o Sadogashima, una delle zone del Giappone meno toccate dall’uomo. Un tempo, veniva usata come meta d’esilio per i personaggi scomodi. L’idea era quella di fare il giro di tutta l’isola in autostop, visto che gli autobus pubblici erano davvero poco frequenti. Inizialmente, temevamo che un’isola così poco visitata non avesse abitanti particolarmente inclini a caricare due straniere, ma ci sbagliavamo. Un vecchietto, evidentemente annoiato, si è appassionato alla nostra missione e ha cambiato tragitto per portarci nella direzione in cui volevamo andare, fermandosi periodicamente nei luoghi più interessanti per raccontarcene la storia. A volte, ai nostri “kirei–” (bello!) fermava la macchina in mezzo alla strada con un brusco “shashin toru??” (fate una foto?), per permetterci di scattare foto a tutti i panorami che volevamo. Ci ha presentate a un suo amico, che gestiva un ristorante-negozio di souvenir, il quale ci ha regalato una piccola pietra, teoricamente autoctona e molto speciale, ma ammetto di non aver capito perfettamente la spiegazione, e si è fermato in tutti i negozietti lungo la strada per trovare il latte particolare che voleva farci assaggiare, “perché è molto più buono di quello di Tokyo!” Nel tardo pomeriggio abbiamo dovuto insistere perché ci portasse in ostello, altrimenti ci avrebbe accompagnate in lungo e in largo fino a notte fonda, tanto era appassionato dal suo nuovo ruolo di guida turistica. 

La sera abbiamo visto uno dei tramonti più belli di sempre in riva al mare e, poi, un cielo stellato meraviglioso, due cose che a Tokyo sono piuttosto rare. Abbiamo mangiato sushi in un ristorantino i cui unici altri clienti erano uomini di mezza età, che non si sono impegnati a nascondere la sorpresa di vedere due straniere entrare nel loro ristorante di fiducia. Il titolare ci ha regalato una tazza da tè verde personalizzata. Il giorno dopo abbiamo girato per la parte sud dell’isola, incontrando altri autisti disposti ad accompagnarci e a consigliarci, ammirando altri panorami meravigliosi e avvistando uccelli selvatici autoctoni di Sado. Camminando con i campi di riso a sinistra e il mare a destra, siamo arrivate a un piccolo porto dove alcune signore, vestite con l’abito tipico dell’isola, portavano i turisti a fare un giro su piccole barchette di legno rotonde, le taraibune. C’erano solo altre due clienti, giapponesi, e la nostra guida, entusiasta del fatto che parlassimo la sua lingua, ci ha convinte a provare a guidare la barchetta: è stato un fallimento. 

La sera siamo state invitate a una festa dagli altri – pochi – ospiti del nostro ostello. Abbiamo cantato al karaoke e poi mangiato sushi nello stesso ristorante della sera prima, ma stavolta era ancora più buono perché offerto da due degli invitati alla festa: un monaco buddista e il proprietario di un ristorante italiano, che pernottavano nel nostro stesso ostello (probabilmente era l’unico del villaggio). La natura rigogliosa, il cielo limpido e pieno di stelle, il calore e l’interesse sincero di queste persone verso di noi e verso la ragione che ci aveva spinte fino a Sado mi hanno ricaricata di un’energia che non mi ero nemmeno resa conto di necessitare. Allo stesso tempo, sapere che in Giappone esistono anche luoghi così, in cui per raggiungere una grande città è necessario un traghetto, per spostarsi è necessaria una macchina e per studiare è necessario trasferirsi, mi ha lasciata senza parole. Una ragazza che ci ha dato un breve passaggio sosteneva che moltissimi turisti passassero per Sado, e che il villaggio principale fosse in realtà una città piena di cose da fare. Non sapevo se crederle, ma ero felice di vederla così felice della sua vita in questa isola che un tempo era solo meta d’esilio.

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