I Frari

10000 metri quadri di superfice, 28 metri di altezza, 12 pilastri, 10 cappelle, 19 altari, 110 stalli lignei decorati, 12 monumenti di dogi ed esponenti del patriziato veneziano, 10 importantissime opere di maestri dell’arte rinascimentale e manierista, 2 chiostri circondati da 74 colonne e 7 chilometri di scaffali: sono questi i numeri da capogiro dell’immenso complesso dei Frari, composto dalla ben nota basilica e dal convento, parte del quale è oggi sede dell’Archivio di stato di Venezia. Osservando questo complesso, originariamente casa madre dei Francescani di Venezia (da cui la basilica prende il suo nome “popolare”: essa infatti è dedicata a Santa Maria Assunta), sorge spontanea una domanda: quanto ricchi erano i frati Francescani di Venezia, espressione di quegli ordini religiosi che genialmente Jacques le Goff definì “mendicanti ma potenti”?

Nato sotto il segno della povertà assoluta e della fedeltà al pontefice, l’ordine perdette presto il primo carattere ma mantenne sempre il secondo, tanto che, dopo la morte di Francesco, il papato, impegnato nella costruzione della sua ierocrazia e nella lotta all’eresia, ne promosse un’enorme diffusione come fece ben presto anche con altri ordini, ovvero Domenicani, Carmelitani e Agostiniani. Ciascuna di queste congregazioni cominciò ad insediarsi in ogni città d’Europa (spesso nelle zone marginali e periferiche) con una propria chiesa e un proprio convento, da cui dovevano irradiarsi le attività di beneficienza e di predicazione. Queste attività li resero ben presto apprezzatissimi da tutte le classi sociali, desiderose di seguire (e finanziare) questi abilissimi ed eloquenti religiosi, così diversi dai monaci chiusi nei loro accessibili monasteri e dai vescovi più interessati a fare politica che a dire messa, ma soprattutto capaci di “stregare” le persone di ogni ceto o categoria con prediche personalizzate e pensate ad hoc. Ecco quindi che le classi più popolari iniziarono a partecipare sempre di più alle funzioni delle basiliche, mentre quelle più agiate cominciarono a donare enormi ricchezze, a pagare la costruzione delle chiese e proteggere politicamente i frati chiedendo quasi sempre in cambio solo la sepoltura nella chiesa della congregazione.

Questo brevissimo excursus è necessario per comprendere la storia e la natura del luogo che ci apprestiamo a descrivere. Fu non a caso un doge, Jacopo Tiepolo, a concedere nel 1236 ai frati il Lago Badoer, una zona paludosa nella periferia della città ma già allora circondata da antiche chiese. Queste, ben presto (come accadde pressoché in tutta la cristianità), vennero soppiantate dal nuovo ruolo assunto dalla basilica mendicante, la quale ogni secolo si ingrandiva e si arricchiva di opere d’arte commissionate dai dogi, dal patriziato o dai frati stessi, quasi sempre per celebrare la dedicataria Santa Maria Assunta, ritratta nella famosa pala dell’altar maggiore.

Prima di arrivare a quest’opera, però, è bene considerare con più attenzione ciò che circonda il visitatore: poco dopo l’entrata si è subito accolti dalle tombe di due giganti dell’arte italiana che qui vollero essere sepolti, ovvero Canova (1757-1822), la cui tomba è costruita sul modello di quella di Maria Cristina d’Austria da lui stesso progettata, e Tiziano (1488/90-1576), che in queste zone abitò e lavorò. Poco più avanti, sulla sinistra, si può ammirare la stupenda Pala Pesaro, commissionata dalla nobile famiglia per celebrare la battaglia di Santa Maura del 1508, ma nel volgersi verso l’altare maggiore lo sguardo sarà arrestato da un grande recinto in pietra d’Istria al cui interno si trova il coro, dove i frati sedevano durante le funzioni, risalente alla seconda metà del Quattrocento e decorato con foglia d’oro, che le luci installate in epoca moderna fanno ben risaltare. Ci si sarà dunque accorti come pian piano, percorrendo le navate verso l’abside, si compia un viaggio nel tempo: il transetto e le cappelle absidali sono infatti ornate da monumenti, tombe, statue e dipinti commissionati durante il Medioevo, come dimostra il San Giovanni Battista di Donatello nella prima cappella di destra.

Questa perfetta sincronia e concordanza cronologica è però spezzata dal dipinto che domina l’altare principale: l’Assunta dei Frari. Commissionata dai Francescani a quello che Tiziano, probabilmente uno dei più importanti pittori del ‘500, l’opera rappresenta l’ascesa al cielo della Vergine, sospesa a mezz’aria tra dei concitatissimi apostoli e un ancor più movimentato paradiso. L’opera riesce a fondere nel suo insieme una molteplicità di messaggi tra loro diversi: elogia il patriziato veneziano che l’ha commissionata (formalmente infatti i frati sono vincolati alla regola di povertà e quindi sono sempre il papato o i ricchi finanziatori i committenti di fatto), esalta il credo francescano sull’Immacolata Concezione e rappresenta, nella figura di Maria, la Serenissima da poco uscita vincitrice dalla guerra della Lega di Cambrai (1508-1516).

Un dipinto a tema celeste che però rivela svariate implicazioni mondane e terrene (come del resto tutta la religiosità veneziana) non poteva certo avere uno stile che non si rifacesse alla dimensione terrestre. Ecco quindi che Tiziano abbandona i toni pacati e imperturbabili della sua epoca per comporre un’opera in cui tutto, anche il cielo, è movimento, confusione e agitazione. Questi caratteri non piacquero ai committenti e al priore, che criticò le pose degli apostoli, che sembravano quelle dei pescivendoli dei mercati di Rialto (e chissà, forse Tiziano si era proprio ispirato ai movimenti di questi venditori, dimostrando un’attenzione al vero tipica di un altro “montanaro” come lui: Caravaggio). Durante questa discussione fece però la sua comparsa l’ambasciatore dell’imperatore Carlo V che, proponendosi di acquistarla, ne alzò il valore e convinse i Francescani a rivalutarla e a tenerla. Ecco così che l’opera, nel 1518, andò a coronare il disegno artistico voluto dall’ordine francescano veneziano per la sua basilica.

È quindi chiaro come mai questa basilica sia così grande e ricca e come abbia potuto crescere tanto in potenza e fama nonostante le chiese ben più antiche che la circondavano. Se decideste di visitarla, vi consiglio di farlo più volte, sfruttando i percorsi proposti sul sito della basilica, testimonianza delle abilità comunicative dei francescani. I frati, infatti, continuano a vivere e ad abitare qui, occupando una parte dell’immenso convento che i loro predecessori fecero costruire. Costituito da due imponenti chiostri porticati e da un’innumerevole quantità di stanze e di saloni, in parte il convento è oggi anche sede del più imponente archivio della città, che raccoglie documenti dal IX secolo fino al 1797. Fu in questa data, infatti, che Napoleone arrivò in Italia e, dopo che il Maggior Consiglio ebbe dichiarato la Repubblica decaduta, iniziò una profonda riforma anche della vita religiosa della città: soppresse tutti gli ordini religiosi, esautorò le gerarchie ecclesiastiche e riutilizzò gli enormi complessi edilizi lasciati vuoti. Molti conventi diventarono caserme, le chiese furono adibite agli usi più disparati e il convento dei Frari divenne l’archivio della città, uso poi mantenuto dagli Austriaci e dal Regno d’Italia, che però riconsegnarono ai frati una porzione del loro convento. Quello napoleonico fu un periodo durissimo per la religiosità veneziana, messa duramente alla prova materialmente e spiritualmente, ma questa riuscì a risollevarsi, soprattutto grazie alla longevità delle sue istituzioni e al loro profondo radicamento nel tessuto sociale della città.

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