Gli Oscar di Linea20: La favorita

tempo di lettura: 5 minuti

La favorita (2018) è un film ambientato agli inizi del Settecento in Inghilterra, durante il regno dell’ultima Stuart, Anna, e segue l’evoluzione dei rapporti di potere e personali all’interno della sua corte. Ultima (e forse migliore) prova del regista di origine greca Yorgis Lanthimos, la pellicola riduce il mondo ai minimi termini per scavare le sfaccettature dei rapporti umani quando l’interesse e l’ambizione vi giocano un ruolo preponderante.

La Trama: 3/5

Voto3

Apparentemente un semplice film storico, l’opera di Lanthimos sfrutta una trama lineare per concentrarsi sugli scontri di potere – politico e relazionale – alla corte della regina Anna. L’ultima regnante Stuart, grassa, profondamente depressa e affetta da gotta, non è davvero interessata a governare, ma cerca invece divertimenti e affetto più come una bambina che come una sovrana. All’inizio del film, la sua guida politica e amante è Sarah Churchill, Lady Marlborough: questa, attraverso Anna, riesce a guidare efficacemente il paese durante la guerra in Francia (in cui è impegnato Lord Marlborough, suo marito) e ha per la regina attenzioni sia materne, sia sessuali. Ben presto, però, la cugina caduta in rovina di Sarah, Abigail, si insinuerà nel loro rapporto ingaggiando una lotta furiosa con la duchessa di Marlborough, nell’ambizione di riguadagnarsi la posizione che suo padre ha perso al gioco.

Certo, la trama in sé non è il vero fulcro dell’opera. Anzi, la sua prevedibilità è parte integrante dell’articolazione del film, a riprova del fatto che Anna non sia mai stata la vera artefice delle proprie decisioni. I terribili lutti (ciascuno dei diciassette conigli che tiene nella propria camera simboleggia uno dei figli che ha perso) e una vita infelice l’hanno resa particolarmente fragile, accentuando un carattere già di per sé volubile e infantile. L’intelligenza e la spregiudicatezza delle due contendenti non fanno quindi che decidere della sua vita, senza che lei possa mai veramente opporvisi. Sorprendente è quindi l’ultimo momento della pellicola, che dimostra come, forse, Anna sia finalmente diventata consapevole delle proprie scelte sbagliate e abbia forse recuperato un briciolo di regale (ma vuota) dignità nella situazione di totale solitudine in cui si è trascinata, scacciando l’unica persona in grado di offrirle una forma di affetto sincero.

Sebbene non sia il centro dell’opera, però, lo sviluppo della trama è quasi troppo prevedibile. A salvare l’insieme è la scelta consapevole di una narrazione episodica scandita in brevi capitoli, ciascuno con il proprio titolo, che concentra lo svolgersi in brevi sequenze significative.

La Regia: 4,5/5

Voto4.5

Yorgos Lanthimos si conferma un amante del grottesco e del tragicomico, offrendo un altro cupo squarcio sui rapporti umani dopo Il sacrificio del cervo sacro (2017), The Lobster (2015), o, ancora, Kynodontas (2009). Forse un po’ ossessiva, la regia è però efficace e sa concentrarsi sui momenti focali nello sviluppo personaggi e della vicenda. Il black humour che segue le vicende ben contribuisce a rendere la meschinità e l’assurdità delle situazioni.

Un elemento ricorrente, che ben lega la vicenda, è quello del cibo: sia nelle metafore della sceneggiatura – originariamente di Deborah Davis e rimaneggiata da Tony McNamara – sia nelle immagini, il cibo viene ingurgitato voracemente, sprecato, divorato, sempre associato al sesso e al sopruso, che ne diventano metafora e referente. Nell’intrigo di potere a corte, tutti sono potenzialmente prede e cacciatori, sempre sul punto di essere sbranati per sfamare l’ingordigia di qualcun altro.

La sensazione claustrofobica dei rapporti umani è acuita dalla fotografia di Robbie Ryan, che gioca su distorsioni e prospettive poco convenzionali per trasformare la grandiosità della corte in una dimensione soffocante e irreale, dove il mondo esterno non viene mai mostrato e tutta la realtà rimane oniricamente sospesa tra le mura del palazzo. A ciò si aggiungono le scelte di palette della designer di produzione Fiona Crombie, che rendono questo mondo sfarzoso freddo, opaco e innaturale, e i costumi di Sandy Powell, che ben riflettono i caratteri dei personaggi e li seguono nel loro cupo sviluppo. Per esempio, gli abiti di Abigail diventano progressivamente sempre più pacchiani e stravaganti man mano che questa si arrampica sulla scala sociale, mentre quelli di Sarah esplicitano la sua militaresca risolutezza interiore in tagli maschili per il tempo libero. Corona il senso di assurdo la colonna sonora, per lo più di veri brani barocchi (tra cui pezzi di Bach, Handel, Purcell), che amplifica la sensazione di trovarsi sempre in bilico tra un sogno e un incubo.

Il Cast: 5/5

Voto5

Le tre protagoniste sono superbe. Olivia Colman dimostra ancora una volta la propria bravura in una prova magistrale. Mai sopra le righe, misurata ma al contempo capace di rendere tutta l’infantilità, la penosa condizione e anche la consapevole regalità del suo personaggio, costretta a regnare ma incapace di farlo, sofferente e capricciosa, irresponsabile e sola, la Colman ha giustamente meritato la vittoria ai Golden Globe.

La affiancano Rachel Weisz ed Emma Stone, entrambe capaci di mostrare le sfaccettature dei propri personaggi senza scadere nel kitsch e soprattutto conservandone l’ambivalenza per tutto il film. Se Lady Marlborough è fin troppo materna e severamente autoritaria con Anna, dimenticando a volte che questa è comunque una donna adulta, Abigail fa invece leva sulle debolezze della regina per raggiungere i suoi scopi, senza farsi scrupoli. Entrambe riescono a suscitare la simpatia e il disprezzo dello spettatore per ragioni diverse, ma sempre in virtù del loro rapporto con Anna. L’interpretazione della Colman si conferma così la chiave di volta della riuscita del film, senza la quale questo triangolo non reggerebbe.

Alle interpretazioni principali si aggiungono quelle di Mark Gatiss, il lucido e pragmatico duca di Marlborough, di Nicholas Hoult, antagonista di Sarah e uno dei motori dell’ascesa di Abigail, e di un dimenticabile Joe Alwyn, che interpreta il barone che sposerà Abigail. Il cast di contorno, però, serve soprattutto per dare il senso della profondità e fornire contesto e supporto agli incontri-scontri tra le tre donne, per esempio sottolineando come Sarah sia in grado di affrontare l’intera opposizione in Parlamento quasi da sola od offrendo ad Abigail qualche spunto per la sua ascesa.

Conclusione

Il film risulta molto europeo e piuttosto inglese, non solo per il cast, ma anche per sceneggiatura tragicomica, ambientazione e atmosfera. Benché sia una prova particolarmente riuscita e ben bilanciata, rischia di non accogliere l’unanime favore dell’Academy, solitamente più orientata verso film più “globish” e meno disincantatamente cupi. In ogni caso, la pellicola merita almeno una visione per la trattazione dell’ingordigia che regola (o rischia di regolare) i rapporti umani, per la splendida cinematografia.

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