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Diciottesimo film del Marvel Cinematic Universe, Black Panther soffre il triste destino di essere un bel film la cui candidatura, agli occhi di tutti, rimarrà sempre una mossa strategica. Come ogni film che anche solo sfiori il tema del razzismo, per la grande massa di spettatori il cinecomics di Coogler fa parte della diversity quota di un Academy che deve ancora sbarazzarsi di “Oscars so white”, ma la sua nomination può anche essere letta come un riavvicinamento al grande pubblico da parte di un establishment che per troppo ha snobbato i franchise e i kolossal.
La Trama: 3,5/5
Il film segue T’Challa (Chadwick Boseman), principe del fittizio regno africano di Wakanda, già introdotto in Captain America: Civil War, in cui l’incidente che aveva portato alla crisi diplomatica sul caso supereroi aveva anche provocato la morte di suo padre, il re T’Chaka. Dopo aver ereditato i poteri della pantera nera e superato il desiderio di vendetta, T’Challa deve proseguire il percorso di maturazione che lo porterà a essere incoronato re, confrontandosi questa volta con problemi di più difficile risoluzione come gli squilibri politici di una nazione, il più importante dei quali è l’isolazionismo del regno. Il Wakanda è uno stato dai tratti afrofuturistici che è riuscito a prosperare e scampare al colonialismo non permettendo a nessuno straniero di varcare i suoi confini ed è, agli occhi del resto del mondo, uno stato agricolo e arretrato. Mantenere questa facciata è stato possibile grazie all’avanzata tecnologia sviluppata dai suoi abitanti, che però molti temono non sarà presto più efficace.
Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del Wakanda nei confronti del resto del mondo è il dibattito cardine del film: se accogliere il contatto con l’altro (come vuole il love interest del protagonista, Nakia, che sostiene la necessità di accogliere i rifugiati) o armarsi e colpire per non essere colpiti. Quest’ultima è la posizione di Erik Killmonger, wakandiano perduto con diritti sul trono che tenterà di prendere il potere facendo leva sulle paure di un popolo, riuscendoci.
Il fulcro di Black Panther non è, infatti, la semplice lotta per la corona o lo scontro di un supereroe con la sua nemesi; la storia si configura come una vera e propria epica che spazia dal bildungsroman alla commedia, affrontando temi quali il valore delle tradizioni o il dovere alla solidarietà. Black Panther è un film nero fatto da neri, e il primo segno di questo è il fatto che il razzismo non ha mai bisogno di essere mostrato: è un assunto che influenza irrevocabilmente più punti della trama e che ha, in particolare, reso Killmonger il soldato inasprito che è.
Questa vena politico-sociale, però, è necessariamente attenuata dal fatto che stiamo pur sempre parlando di un film di supereroi, e che chi va a guardare un film di supereroi non si aspetta eccessiva ambiguità. Non si può rischiare, per esempio, che Killmonger, abbandonato orfano in un mondo che lo ha marginalizzato per coprire un errore della corona, susciti troppa empatia nel pubblico, e quindi dev’essere senza scrupoli nel perseguire il suo obiettivo e autoritario una volta acquisito il potere.
La prima obiezione che si potrebbe fare è che, forse, un film del genere non ha bisogno di essere più sfaccettato di come già è: se la sua intenzione è estendere l’escapismo fantascientifico di massa alla comunità nera, può riuscirsi senza sviare dalle caratterizzazioni tipiche del genere; a nessuno importa che Guerre Stellari abbia la profondità di una favola della buona notte. Tuttavia, il livello di stacco che si avverte fra la complessità morale di scene come quella del piano astrale o il monologo finale di Killmonger e quella della pellicola in generale aleggia come un’ombra per tutto il film.
La Regia: 4/5
Ryan Coogler crea un mondo colorato e complesso, premiato anche con la candidatura a Migliori Costumi e Migliore Scenografia, progettato per incastrarsi coerentemente sia nell’universo Marvel che nell’effettiva posizione geografica scelta per il Wakanda. Secoli di storia alternativa sono stati teorizzati, tenendo in considerazione i movimenti e le influenze delle tribù vicine come i previsti sviluppi tecnologici dei prossimi anni, per arrivare a immaginare la cultura che vediamo nell’abbigliamento, nei balli, e nella conformazione urbana del regno. Un’esperienza finalmente nuova in un’opera Marvel, dopo una mezza dozzina di film che sono stati (giustamente) criticati per la loro estetica ripetitiva e forzatamente uniformata.
Coogler guida il cast fra momenti di drammatica tensione e umorismo da cinecomics, mescolando elementi da Shakespeare come da James Bond, dando il giusto spazio alle singole sottotrame, e in particolare gestendo al meglio le ben coreografate scene d’azione, evitando l’effetto di sovraccarico tipico degli ultimi film Marvel.
Anche la necessaria ripetitività di un film di genere viene alleggerita dalla buona esecuzione e dai rimandi alla pop culture.
Il Cast: 4/5
Chadwick Boseman è un ottimo protagonista e interprete, ma a brillare è il cast nella sua interezza. Questo può annoverare molti dei nomi del momento, quali Lupita Nyong’o (Nakia) e Daniel Kaluuya (W’Kabi), precedentemente premiati dall’Academy. Come spesso accade nei film di supereroi, molte delle battute e dei momenti migliori spettano al cattivo, Michael B. Jordan (Erik Killmonger), centrale in quelli che sono due dei momenti più emotivi del film: la conversazione col padre e la conclusione.
Conclusione
Ironicamente (o forse prevedibilmente), il film che dovrebbe riportare dignità all’intrattenimento di massa è limitato proprio dal suo essere il prodotto di una megacorporazione. L’ambiguità morale dei personaggi non è autorizzata a raggiungere un livello tale da non farci più distinguere i buoni dai cattivi. Le scelte registiche ed estetiche di Coogler (come lo furono quelle di Waititi in Thor: Ragnarok) sono rivoluzionarie se ci si è rassegnati alla formula ripetitiva della Marvel post-Avengers, ma intuibilmente attenuate rispetto a quelle che sarebbero state le idee dell’autore di Prossima fermata Fruitvale Station.
E se Black Panther ha tutte le carte in regola per portare a casa la maggior parte dei premi tecnici (primo fra tutti quello per il Production Design), è improbabile che l’Academy arrivi a fare qualcosa di potenzialmente controverso come incoronarlo Miglior Film.
Film interessante, ne abbiamo discusso sul blog
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