Cosa sono le Digital Humanities?

Erano i primi giorni di primavera in Uzbekistan quando, seduto a casa davanti al computer e ad una tazza di tè, cercavo di prendere una decisione riguardo al corso minor che avrei intrapreso al Collegio Internazionale. L’offerta formativa spazia fra queste discipline: Sustainability, Global Asian Studies e Digital Humanities. Poche ore di “ricerca” su internet non si rivelarono poi di così grande aiuto per comprendere appieno i concetti chiave sottesi a queste tre materie. Ad ogni modo, fra queste c’era un campo di ricerca per me molto strano, completamente ignoto e, tuttavia, terribilmente affascinante: Digital Humanities. Cercherò, dunque, di raccontare come la mia percezione iniziale di cosa fosse questo originale binomio sia stata trasformata completamente nell’arco di solo un paio di mesi, grazie al corso “Introduction to Digital Humanities”.

Già alla prima lezione, la professoressa ci ha chiesto di dividerci in due gruppi, invitandoci a descrivere visivamente e graficamente i nostri pensieri sulla definizione delle DH. Essendo studenti provenienti da background radicalmente diversi, abbiamo potuto esaminare questa nuova frontiera delle discipline umanistiche da più punti di vista, riuscendo comunque a giungere alla definizione di un ponte fra passato e presente. L’accostamento delle parole “digital” e “humanities” potrebbe sembrare infatti sulle prime piuttosto straniante, ma soffermandosi appena sulla storia di questo ambito di ricerca, tutto incomincia a risultare più chiaro.

Se da un lato gli studia humanitatis vantano infatti una lunga tradizione, dall’altro le scienze informatiche sono nate e si sono sviluppate solo negli ultimi cinquant’anni. Le DH, di conseguenza, sono frutto di un delicato equilibrio fra questi due opposti aree di studi.

Le Digital Humanities presentano un ampio ventaglio che spazia dalla mappatura di monumenti con tecnologie 3D (in grado di aiutare gli storici ad esplorare civiltà antiche) allo smart management di informazioni per lo studio di opere di un particolare poeta. Un’altra curiosa applicazione vede protagonisti i droni utilizzati dagli archeologi durante le loro spedizioni: un chiaro esempio di incontro fra “digital” e “humanities”. La discussione in classe ha inoltre evidenziato quanto le DH garantiscano pari opportunità alla società globale del XXI secolo, basti citare i “musei digitali” o le collezioni d’arte online. Anni fa, visitare un museo e godere dei più grandi capolavori artistici erano appannaggio di una ristretta élite, favorita da condizioni economiche, culturali, storiche e geografiche. Ora, con l’applicazione delle tecnologie digitali alle materie umanistiche, la maggior parte delle persone ha la possibilità di fare propri almeno i rudimenti di storia, delle arti e delle altre discipline.

È importante volgere lo sguardo al passato delle DH e comprendere come tutto ebbe inizio. Il primo incontro fra materie umanistiche e il mondo dei computer, ad oggi giunto alla frontiera dell’intelligenza artificiale, è datato 1949, quando Roberto Busa, gesuita e teologo italiano, alla disperata ricerca di un aiuto per indicizzare l’opera omnia di Tommaso d’Aquino, ottenne il supporto di Thomas J. Watson, fondatore dell’International Businness Machine (IBM) Corporation. Il frutto di questa pluridecennale collaborazione introdusse negli studi umanistici nuovi strumenti, quali ricerca testuale e sistemi di conteggio delle parole.

Sorge spontanea tuttavia una domanda: come è stata condotta la ricerca in materie umanistiche prima dell’arrivo dei computer? La risposta è da ricercare nei principi stessi anche delle DH e potrebbe, pertanto, condurci ad una loro definizione più puntuale. È fondamentale esaminare più da vicino la composita galassia di queste discipline: letteratura, arti, storia, filosofia, psicologia… e la lista continua. Per ora non credo ci si debba focalizzare sulla lunghezza di questo elenco, quanto piuttosto sulla necessità di comprendere quanto questo ambito sia vasto e variegato. È ovunque, è tutto ciò che ha a che fare con la natura stessa dell’uomo: quello in cui crediamo (religioni e tradizioni), quello che proviamo, quello che creiamo, ciò che viviamo e che osserviamo ogni giorno. Appare evidente che le humanitates si basino su in nostri aspetti più spirituali ed irrazionali, osservandoli però con la lente dell’oggettività. E quando quest’obiettività è integrata da un ambito di studi molto più rigido, quale l’informatica, ecco che le DH muovono i primi passi. Gli strumenti computazionali non solo facilitano il lavoro dei ricercatori, ma soprattutto rendono più accessibile anche per i non-addetti ai lavori il linguaggio delle discipline umanistiche, astratto, figurato, spesso troppo complesso.

Forti di queste conclusioni, è infondato affermare che la componente informatica prevalga sulle materie artistico-letterarie e che queste non avrebbero potuto svilupparsi senza l’apporto dei computer. Ciononostante, il loro apporto non va sminuito nel porre al centro delle DH gli studia humanitatis. Perderebbe del tutto senso, infatti, la definizione con cui etichettiamo questo innovativo campo di ricerca: Digital Humanities.

di Javohir Isomurodov

 

English version: What are Digital Humanities?

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