Quando, poco tempo fa, un’ex-dottoranda mi ha chiesto di scriverle una lettera di referenze, mi sono trovata ad affrontare un problema inatteso. Si tratta di una persona meravigliosa e di una scienziata brillante, che qualunque datore di lavoro dovrebbe considerarsi fortunato ad assumere, e sono felice di scrivere una lettera che dica esattamente questo.
Il problema sta nel fatto che il lavoro in questione è una docenza di tedesco. Io stessa sono tedesca, com’è il suo caso, e ho quindi ritenuto di dover scrivere la lettera in tedesco.
Non ne sono stata capace.
Innanzitutto, non sono più sicura dell’ortografia che uso in tedesco. Ciò è dovuto in parte al fatto che le regole ortografiche siano cambiate nei vent’anni da quando sono partita, in parte al fatto che ho parlato e scritto in olandese – in cui le parole hanno un suono abbastanza simile ma sono scritte in maniera differente – per molto tempo, e in parte al fatto che la mia conoscenza si sia semplicemente erosa. Per di più, le parole mi sfuggono e spesso non sono più certa che significhino esattamente quello che credo.
La mia grammatica si sta ristrutturando sulla base dell’inglese, cosa che in tedesco si traduce in frasi più semplici e meno sofisticate. Niente di tutto ciò, mi è parso, avrebbe messo in buona luce la candidata.
Non sono l’unica in questa situazione. Dopo aver trascorso un periodo di qualunque durata – anche solo di pochi mesi – in un contesto straniero, gli espatriati come me tendono a sentirsi come un pesce fuor d’acqua o, forse più precisamente, come leoni di mare fuor d’acqua: riusciamo a sopravvivere, sì, ma i movimenti che altrimenti sarebbero naturali, fluidi ed efficienti diventano uno sforzo enorme. Sbatacchiamo le pinne, siamo goffi, brancoliamo dietro agli altri, sentendoci e risultando leggermente ridicoli.
In termini linguistici, ciò significa che ci esprimiamo in “um” e “ah” molto di più. Ci interrompiamo più spesso. Le nostre frasi falliscono a metà strada e siamo costretti a tornare indietro. Il nostro lessico diventa meno sofisticato e la nostra grammatica meno complessa. E ci sono anche effetti più sottili, che hanno a che fare con i diversi modi in cui la cortesia e le interazioni sociali variano a seconda della lingua.
Per esempio, l’inglese ha un solo pronome – you – per rivolgersi agli altri. Molte altre lingue, invece, distinguono tra un pronome informale e uno formale o di cortesia: per esempio, i francesi tu e vous, o gli spagnoli tu e usted. Non ci sono regole chiare e dirette che dicano in quale contesto si debba usare un pronome formale e in quale usarne uno informale, e ciò che si considera appropriato e cortese cambia enormemente tra paesi.
Per esempio, nei Paesi Bassi mi sono abituata a rivolgermi al Magnifico Rettore della mia università con il pronome informale e usando il suo nome di battesimo. In Germania, ci si aspettava che usassimo Vostra Magnificenza (non me lo sto inventando). Usare un pronome informale, per non parlare del nome proprio, sarebbe stato inconcepibile. Non solo le convenzioni sono cambiate negli ultimi vent’anni, ma sento di aver completamente perso il senso di ciò che è appropriato in qualsivoglia situazione.
Molti di questi fenomeni di ciò che si definisce erosione linguistica sono molto simili ai cambiamenti nell’uso della lingua che si verificano nei primi stadi della demenza senile – sebbene, certo, i processi cognitivi sottostanti siano completamente diversi. L’erosione linguistica non è una condizione neurologica, ma si verifica perché due lingue stanno risolvendo le cose a suon di pugni in un solo cervello. Come le persone che convivono con la demenza senile, coloro che fanno esperienza dell’erosione linguistica si trovano ad affrontare la dura realtà del fatto che valutiamo e giudichiamo le persone basandoci su quanto bene e con quanta sicurezza usino la lingua. Quando la prestazione linguistica viene compromessa, l’intelligenza, la competenza e le funzioni cognitive in generale vengono sottostimate.
A differenza delle persone affette da demenza senile, le persone affette da erosione linguistica possono trovare conforto nel fatto che questi sintomi probabilmente non persisteranno né peggioreranno troppo, e che la re-immersione nella propria lingua nativa li farà probabilmente scomparire in poche settimane.
Ma per i tre milioni di cittadini europei che vivono nel Regno Unito e per il milione di cittadini britannici nel continente, molti dei quali potrebbero ora contemplare di tornare nel proprio paese nativo a causa della Brexit, l’erosione linguistica potrebbe essere un vero problema. Una domanda con una pessima ortografia o con un lessico goffo, una prestazione maldestra ed esitante durante un colloquio o – orrore degli orrori – l’uso inappropriato di un pronome o di un nome proprio o l’omissione di un titolo onorifico potrebbero guastare ogni possibilità di dar prova di sé sul posto di lavoro. Questi errori sono, ovviamente, assolutamente irrelati con quanto competenti si sia nello svolgere un particolare compito ma questo non sarà di grande conforto se l’erosione linguistica ci sarà costata il lavoro dei nostri sogni.
Cosa si deve fare, quindi, se si sta pensando di tornare sul mercato del lavoro del proprio paese natale? Ecco alcuni consigli che potrebbero tornare utili:
- Fate sempre controllare i documenti da un parlante nativo che sia pienamente competente e che viva nel vostro paese natale.
- Cercate di entrare nell’ordine di idee della vostra lingua, cominciando il prima possibile. Provate le conversazioni che vi aspettate durante il colloquio di lavoro. Tenete presenti non solo termini chiave del settore ma anche i modi in cui interagirete con i membri della commissione. Fatelo ad alta voce.
- Se possibile, fate una ricerca sui membri della commissione e sui loro titoli. Se non siete sicuri, chiedete a un parlante nativo pienamente competente quale sia il modo appropriato di rivolgersi loro. Fate pratica.
- Se non siete sicuri di alcuni termini tecnici o del lessico specializzato, preparatevi un bigliettino e non sentitevi in imbarazzo a usarlo durante il colloquio.
- Se potete, organizzate un colloquio di prova con amici o familiari che abbiano la vostra stessa lingua madre.
Alcuni di questi consigli potrebbero sembrarvi eccessivi, ma potrebbero fare la differenza tra il sentirsi un’aggraziata creatura marina nel proprio elemento o una goffa massa di lardo che brancola sulla terraferma.
Di Monika Schmid
Articolo originale: Losing your first language? Here’s how to rediscover your voice