“The books that made me” è una rubrica del Guardian in cui autori affermati parlano dei libri che hanno avuto una qualche influenza sulla loro vita, li hanno fatti ridere e/o piangere, hanno influenzato la loro scrittura.
Francis Spufford (1964) è un autore inglese, figlio degli storici Peter e Margaret Spufford. Ha scritto principalmente opere di non-fiction dal sapore letterario, come “I May Be Some Time: Ice and the English Imagination” (1996), pubblicando il primo vero romanzo, “Golden Hill”, solo nel 2016. È Fellow della Royal Society of Literature.
Il libro che sto leggendo
Non leggo mai un solo libro alla volta. Ho appena cominciato Girl Meets Boy di Ali Smith come parte della mia campagna leggi-tutta-Ali-Smith, ma mi sto anche godendo Family Britain, l’eccellente storia sociale degli anni ’50 di David Kynaston, per motivi di ricerca, e a letto sorseggio lo strabiliante Old Mortality di Walter Scott, su una rivolta fondamentalista nella Scozia del XVII secolo destinata a fallire. Sorseggio soltanto, perché per capire cosa stia succedendo devo leggere i dialoghi tra me e me nella mia patetica imitazione dello Scots del confine.
I libri che mi hanno cambiato la vita
Il peggior viaggio del mondo, la melanconica epica polare di Apsley Cherry-Garrard, mi ha trasformato in uno scrittore dandomi una domanda delle dimensioni di un libro cui rispondere. Il saggio di James Buchan sul denaro, Frozen Money, mi ha mostrato che bella linea corsiva si possa tracciare, anche in una non-fiction che aveva molto da assimilare e riportare. Da direzioni molto diverse, la trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson e The Blue Flower di Penelope Fitzgerald mi hanno insegnato che forse poteva esistere il tipo di romanzo che io ero in grado di scrivere.
I libri che vorrei aver scritto
O The Yiddish Policemen’s Union di Michael Chabon o The Tricksters, della grande scrittrice neozelandese per ragazzi Margaret Mahy. Non sono libri che facciano chissà che, ma fanno ciò che fanno quasi alla perfezione.
Il libro che ha influenzato di più la mia scrittura
Posso almeno averne uno per decade? 0-10: i libri di Narnia. 11-20: La mano sinistra delle tenebre di Ursula K. Le Guin. 21-30: 1982, Janine di Alasdair Gray. 31-40: The Virgin in the Garden di A.S. Byatt. 41-50: Fitzgerald/Robinson, come sopra. 51+: domandatemelo alla fine del decennio.
Il libro che ritengo più sottovalutato
Due capolavori della fantascienza: Life di Gywneth Jones, un riff (ritornello? improvvisazione?) sulla biologia accademica e l’esperienza femminile, e The Thing Itself di Adam Roberts, l’unico mashup pulp-horror-kantiano al mondo, probabilmente destinato a rimanere tale.
L’ultimo libro che mi abbia fatto piangere/ridere
Piangere: la serie su Gilead di Marilynne Robinson, circa cinque pagine dopo averlo cominciata. Ridere: la serie su Lindchester di Catherine Fox.
Il libro che non sono riuscito a finire
Proust, Proust, dannato Proust. Ho fatto un nuovo tentativo di scalare il Mount Marcel l’anno scorso, e sono stato sconfitto di nuovo. Non è per i lunghi periodi o la visione sociale, che è ben più acuta e comica di quanto mi aspettassi. È per il puntinismo descrittivo senza fine, sparso anziché preciso, atmosferico anziché vivido. Sono troppo devoto all’illusione che si possano dire le cose una volta, ampiamente, e fermarsi. Henry James mi sfugge per la stessa ragione.
Il libro che più mi vergogno di non aver letto
Tossisce – i sonetti di Shakespeare – tossisce.
Il libro che regalo più spesso
Recentemente, Longbourn di Jo Baker e la serie per giovani adulti The Queen’s Thief di Megan Whalen Turner.
Il libro per cui più mi piacerebbe essere ricordato
Non ho finito di scoprire di cosa sono capace. Per favore, ricordatemi per il libro ancora non scritto in cui mi riesce qualcosa di trascendentalmente eccezionale. E non per quello che lo seguirà, con cui cadrò di faccia.
Articolo originale: The books that made me – Francis Spufford