Il Balletto Reale delle Fiandre alla Fenice: l’incredibile capacità espressiva della danza

Il Balletto Reale delle Fiandre (conosciuto internazionalmente come Royal Ballet of Flanders, in fiammingo Koninklijk Ballet Vlaanderen) è la compagnia di ballo classico del Belgio, basata ad Anversa. La compagnia si è guadagnata il successo internazionale grazie alle splendide coreografie, alla cura dei dettagli e all’eccellenza dei ballerini. Venerdì 15 Dicembre ho colto l’opportunità di assistere a una loro esibizione al Teatro La Fenice di Venezia.

Non sono un’esperta di balletto: la mia familiarità con la danza si riduce a qualche fallimentare tentativo durante quella fase dell’infanzia in cui indossare una gonna rosa e fingere di piroettare in punta di piedi seguendo una musica inesistente è un passatempo comune. Venerdì sera non sapevo con certezza cosa aspettarmi: la principale motivazione che mi aveva spinto a comprare un biglietto era una certa nostalgia per le Fiandre, terra in cui ho vissuto la mia esperienza Erasmus. Inaspettatamente, sono uscita dal teatro profondamente colpita, commossa e ammirata.

Lo spettacolo proposto dalla compagnia è diviso in tre parti: tre musiche e tre coreografie diverse, con tre diversi gruppi di ballerini sul palco.

La prima parte è intitolata Exhibition: accompagnata dalla trionfale musica di Quadri di un’Esposizione di Musorgskij nella versione orchestrata da Ravel, la coreografia di Sidi Larbi Cherkaoui è uno spettacolo corale, in cui i ballerini sembrano essere un’unica entità che si compone e si scompone in un ammaliante mosaico. Come unico ornamento dell’ambientazione, grandi cornici dorate che vengono spostate, alzate, abbassate e riarrangiate dai ballerini sul palco, modificando l’ambiente e lasciando spazio a infinite interazioni. Le cornici delimitano lo spazio in cui i ballerini si muovono: li imprigionano, li risucchiano, li nascondono, li rivelano, li separano e li riuniscono. Le ballerine sono vestite con lunghe gonne svolazzanti, che permettono loro di scivolare sul terreno come se fossero attratte da una forza invisibile: gonne che diventano tele appoggiate sulle cornici, da cui le figure piroettanti entrano e escono come se fossero loro stesse il dipinto incorniciato. I personaggi lottano contro il loro ritratto, contro la loro apparenza, gridando disperatamente perché la loro identità sia riconosciuta.

La seconda coreografia di Jeroen Verbruggen, sulle note di Ravel (Pavane pour une Infante défunte, Ma Mère l’Oye), lascia da parte le esplosioni di colore di Exhibition per dare spazio alle tematiche del lutto, della sofferenza e della ricerca di se stessi. Due ballerini sono al centro della scena, mentre sullo sfondo si muovono infinite coppie, repliche senza volto dei protagonisti. Un Re e una Regina vestiti di bianco danzano, protetti dal mondo esterno da un baldacchino velato attraverso il quale distinguiamo le loro sagome come se fossero ovattate visioni di un sogno altrui a cui noi spettatori abbiamo accesso solo parzialmente. La loro danza è un infinito abbraccio: anche quando si allontanano, non passa un istante senza che si ritrovino, sfiorandosi con le dita e attraendosi nuovamente, fondendosi in un unico corpo. Finché qualcosa accade a rompere l’incanto: il Re cade a terra, morto. Il baldacchino si solleva, lasciando la Regina scoperta, rigettandola in un mondo ostile accompagnata non più dal suo amato, ma da una nuova figura: Alma, in spagnolo anima. Alma indossa la stessa gonna della regina, lo stesso velo da sposa; ma i suoi sono neri, come il lutto e il dolore della sua compagna. I movimenti di Alma non sono complementari rispetto a quelli della Regina, come era la danza del Re: sono speculari. Alma è la pura essenza della regina: i suoi gesti trasmettono tenerezza, consolazione e dolcezza, ma non sono capaci di restituire alla donna la metà che ha perduto. Nel frattempo, intorno alla figura bianca della Regina e a quella nera di Alma danzano innumerevoli coppie di ballerini, copie sfumate dei due innamorati, che la donna cerca di raggiungere inutilmente nella ricerca disperata di se stessa. Solo la morte la ricongiungerà, alla fine della coreografia, al suo amato.

Nell’ultimo spettacolo, la tendenza a incentrare la scena sui protagonisti invece che sulla coralità giunge all’estremo. Sulla scena di Faun, coreografia di Sidi Larbi Cherkaoui sulle note di Debussy (Prélude a l’après-midi d’un faune), sono presenti solo due ballerini. Lo sfondo è minimale: sulla parete sono dipinti gli alberi di un bosco, una foresta troppo profonda perché l’uomo possa accedervi. Una ninfa e un fauno si incontrano tra questi alberi: due anime sole si conoscono, si innamorano e danzano insieme. I movimenti del fauno sono selvaggi e animaleschi, mentre la ninfa è leggiadra e delicata: l’interazione trai due personaggi è al contempo innocente e carica di tensione sessuale, infantile e matura.

In poco più di due ore, la compagnia del Balletto Reale delle Fiandre è riuscita a comporre uno spettacolo in cui la perfezione estetica si accompagna al coinvolgimento emotivo dello spettatore, che non può evitare di farsi ammaliare, commuovere e divertire dall’incredibile capacità espressiva della danza.

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