Flaming June (1895) colpisce per la sua ricchezza cromatica fuori dal comune. Si tratta di colori tanto brillanti da essere quasi violenti, accecanti come il riflesso di luce sull’acqua alle spalle della fanciulla addormentata. Arancione intenso, ocra, granata, la tinta purpurea del fiore di oleandro in netto contrasto con il candore del marmo. I colori sgargianti dei finissimi panneggi rimandano a quelli di un tramonto estivo: la stessa saturazione che presto s’impossesserà del cielo sta quasi impregnando la figura, tanto che le stesse guance della ragazza sono arrossate, e il suo morbido incarnato sembra dorato nella luce. Anche la posizione del corpo di lei, così rannicchiata, rimanda a un disco. Inoltre, se essa, da una parte, offre con la propria linea sinuosa grande dinamismo alla figura, dall’altra, nel suo essere linea chiusa e armonica, costituisce un paradigma di staticità. L’effetto finale è quindi quello di una possente energia in equilibrio, sospesa, come nelle statue classiche o, per esempio, nell’Ercole e Lica di Canova.
Questa sospensione nel sonno profondo e il richiamo della pianta tossica di oleandro sono state lette come un simbolo del legame tra sonno e morte. Questo topos, tipico dell’arte del periodo e particolarmente caro ai preraffaelliti, cui Leighton può essere per certi versi avvicinato, è intessuto nel dipinto. Il vero soggetto, anzi, sembra quasi essere il procedere della fine e i segnali che l’accompagnano: la bella giovane (Dorothy Dene, con cui il pittore ebbe un rapporto tanto ambiguo che pare abbia ispirato George Bernard Shaw per il suo Pygmalion) è nel fiore degli anni, il suo incarnato, arrossato in maniera quasi voluttuosa, e la sua pelle soffice sono a malapena celati dall’impalpabile panneggio delle vesti, ma, come abbiamo detto, queste ultime sono delle stesse sfumature del tramonto, simbolo del declino per eccellenza.
Non solo: il fatto che, in realtà, l’unico elemento veramente a fuoco della composizione sia il riflesso del sole sulle acque del Mediterraneo suggerisce che il vero fulcro dell’opera sia da ricercarsi in questa luce morente. Il gioco di richiami del dipinto al momento del tramonto, che, mentre lo si guarda, sembra essere quasi statico, ma che si conclude in un drammatico crescendo in pochi minuti, è enfatizzato dall’ispirazione principale di Leighton per questo soggetto, ossia l’allegoria della Notte di Michelangelo che adorna la tomba di Giuliano de’ Medici. Così, anche colei che sembra essere nel pieno della vita, in realtà, è simbolo della notte oscura che sta per sopraggiungere.
Tuttavia, non è possibile sostenere che Flaming June sia un quadro cupo. Lo stesso titolo, Giugno ardente, che, in inglese, può anche significare June (nome proprio di donna) in fiamme, ardente rimanda a qualcosa di intensamente grandioso. È, sì, un tramonto, ma è lo splendido spettacolo di un tramonto, ne è la bellezza fugace, l’incanto che vi si prova di fronte, la consapevolezza che si tratta di qualcosa di tanto più meraviglioso in quanto perituro. Una celebrazione della bellezza della caducità, dell’ammaliante spettacolo di una fiamma che brucia intensamente e si spegne in un attimo.