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Note dal fronte orientale #10

Lascia perdere il fatto che hai dimenticato il passaporto a Tel Aviv, pensa solo che sei diretto a Nablus. Però senza passaporto sono passibile di ogni tipologia possibile e immaginabile di fermo e interrogatorio. Sì ma tu pensa che stai andando a Nablus e sta’ bono. Mai paura, no?

Arriviamo sul far dell’imbrunire e ad aspettarci c’è H., un ragazzo del posto. Nablus si trova nel cuore della zona settentrionale dei Territori palestinesi, di cui, assieme a Ramallah e Hebron, è una delle città principali. Questa si conficca nel ventre di una valle, tra due alture che arrivano entrambe sugli ottocento metri. Si tratta di una di quelle città dove le mura delle case sono ancora bucherellate dai pallettoni della Seconda Intifada. Ci sono posti dove le mura proprio non ci sono più, ci spiega H. Lui è psicologo e lavora con i bambini che hanno subito traumi infantili. E poi fa il fotografo, ché si è costruito da solo l’attrezzatura. Ah, e poi ha anche un ruolo nell’editing di certi documentari che vengono prodotti qui. Una di quelle persone che, quando le incontri e cominci a soppesare tra una mano e l’altra quello che hai concluso nella vita, beh, ti dici, ma quand’è che mi esilio in Antartide?

H. ci fa da guida tra i vicoli stretti della città vecchia. Nell’aria fluttua odore di uova fresche, caffè e cardamomo. Questa casa per esempio, ci dice, l’hanno demolita assieme alla famiglia che ci stava dentro. Non si sono potuti recuperare i corpi per sette giorni. Quest’altra, ancora, era una fabbrica di sapone – io non vedo altro che un grande spazio vuoto tra le case, quasi un parcheggio: vi sono solo dei brandelli di mattoni ancora pericolanti sui lati –, una fabbrica di sapone che dava un sacco di lavoro qua a Nablus. L’hanno cecchinata con l’artiglieria sostenendo che vi venissero fabbricati materiali per gli esplosivi.

Il ragazzo prosegue il racconto, sono anche venuti ad avvelenare l’acqua, qua a Nablus.

E come l’hanno avvelenata?, chiedo spiegazione.

Coi blindati hanno chiuso questa strada per una settimana, e indica il viottolo dove ci siamo appena infilati. E questa casetta qui, questo è l’acquedotto. La gente ha cominciato ad avere problemi, qualcuno è anche morto.

Lo guardo dritto in faccia. Indago sulla sua età per capire quanto abbia vissuto della storia recente della Palestina. Quanti anni hai?, domando.

Ventotto.

Quindi anche tu ti sei passato la Seconda Intifada…

Mi sono passato la Seconda Intifada. E ti dirò di più: sono stato uno dei primi a raccogliere i pezzi della gente che moriva.

Scusa? I pezzi della gente?

Sì, i pezzi della gente.

E… perché avresti dovuto raccogliere i pezzi della gente?, mi rendo conto della stupidità della domanda, ma non riesco davvero a capacitarmi che si possano raccogliere i pezzi delle persone morte.

Perché? Perché qualcuno lo doveva fare, no? Avevo sedici anni. E raccoglievo i pezzi dei morti per strada.

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