Nella scorsa puntata abbiamo parlato del Dracula storico, il conte Vlad Tepes; oggi ci concentreremo sul suo alter ego letterario, il protagonista del celebre romanzo Dracula dello scrittore irlandese Bram Stoker.
Uno degli aspetti più interessanti di quest’opera è il velato (ma nemmeno tanto) sottotesto sessuale che la percorre dall’inizio alla fine.
Il mito dei vampiri contiene in genere parecchie implicazioni sessuali: il morso sul collo, zona erogena per antonomasia, l’atto di succhiare il sangue, metafora dello scambio di un altro tipo di fluido biologico, la ben nota predilezione dei vampiri per le fanciulle vergini, anche se, come ha giustamente fatto notare Stephen King (un esperto del settore) i vampiri si fermano sempre alla fase orale.
Ma il tema dell’erotismo non si limita solo alla sfera femminile, andando a toccare in maniera piuttosto accentuata anche il tema dell’omosessualità; un tema che, a giudicare da certi episodi della vita di Stoker, è probabilmente autobiografico.
Naturalmente in pubblico non fece mai trasparire nulla, sposò Florence Balcombe, una donna bella e di buona famiglia, da cui ebbe un figlio: una perfetta e rispettabile famiglia vittoriana.
Ma dietro ad ogni dottor Jekyll si cela sempre un mister Hyde. I diari di Stoker in realtà non raccontano niente di piccante, anzi rasentano la noia mortale. Bisogna però tenere presente che a quei tempi nessuno si sarebbe mai sognato di mettere nero su bianco certe cose. Quegli scritti, poi, vennero accuratamente ripuliti dai parenti dello scrittore dopo la sua morte, e venne eliminato praticamente qualunque riferimento a pensieri e fatti personali.
Per queste ragioni, aldilà di qualche cenno di poco conto, possiamo basarci solo su tenui indizi: c’è per esempio la lettera del 1872 a Walt Whitman, del quale Stoker era un fan sfegatato; le poesie di Withman sul cameratismo tra maschi lo avevano colpito profondamente e Stoker, significativamente, ebbe il coraggio di spedire questa lettera al destinatario solo quattro anni dopo averla scritta.
Anche quella con il grande attore Henry Irving fu una relazione ambigua. Nel 1876, Stoker, come critico teatrale, andò ad assistere a uno spettacolo in cui Irving interpretava Amleto. Rimase folgorato e scrisse articoli entusiastici. Fu l’inizio di una profonda amicizia e, forse, di qualcosa di più: Stoker divenne il manager di Irving e suo confidente; come racconta nei suoi diari, lui e Irving trascorsero molte notti insieme a Londra, conversando intensamente sulla vita e l’arte: sarà stata questa l’unica cosa che fecero intensamente?
Tuttavia, la relazione più importante e interessante di Stoker fu senza dubbio quella con…Oscar Wilde! Come lui irlandese e come lui studente al Trinity College di Dublino. I due si conobbero ancora giovanissimi proprio a casa di Wilde, nel frequentatissimo salotto letterario della coltissima madre di Oscar, lady Jane.
Dai dati in nostro possesso sembra che tra Stoker e Wilde non ci sia mai stato nulla di insolito: quando Wilde andò al Trinity Stoker, di otto anni più vecchio, era già un punto di riferimento intellettuale (e tutti sappiamo quanto siano spietate queste rivalità tra secchioni), poi Stoker soffiò pure la ragazza a Wilde, che la prese per niente bene. Probabilmente della tipa non gliene fregava neanche granchè, ma fare la figura del becco e contento non rientrava sicuramente nella sua immagine di dandy. La bella Florence, saggiamente, preferì all’alternativo Wilde il tranquillo e benestante Stoker il quale, tra l’altro, come impresario del Lyceum Theatre di Londra e intimo amico di Henry Irving, avrebbe favorito le sue aspirazioni di diventare un’attrice.
Stoker e Wilde comunque rimasero buoni amici per più di vent’anni; Stoker fu tremendamente scosso quando Wilde venne processato e condannato per omosessualità: di certo questo spiacevole episodio fu uno stimolo in più a tenere la bocca chiusa sulle sue eventuali tendenze analoghe. Nel 1912, l’anno della sua morte, arrivò addirittura ad auspicare, in un rovente articolo, l’incarcerazione di tutti i “sodomiti” d’Inghilterra.
La vera natura di Stoker emerge però prepotentemente nella sua opera, ed è curioso notare che cominciò a lavorare a Dracula proprio nel 1895, l’anno del processo a Oscar Wilde, e lo pubblicò nel 1897, l’anno in cui Wilde lasciò l’Inghilterra per sempre; che strana coincidenza! Secondo molti critici, infatti, l’affascinante vampiro dandy sarebbe ispirato proprio a Wilde; così, nello stesso anno in cui il suo amico veniva praticamente esiliato dal paese, Stoker ce lo faceva rientrare sotto forma di vampiro!
Ma è solo un’ipotesi: secondo altri Dracula potrebbe essere ispirato agli altri “amici” di Stoker come Henry Irving, col quale condivide il modo di fare teatrale, o come Walt Whitman, col quale condivide i lunghi capelli e baffi grigi (il Dracula dal viso glabro e coi capelli corti, neri e impomatati, a cui siamo abituati, è un’invenzione della Universal, al pari del Frankenstein con la testa quadrata e la cucitura sulla fronte).
In genere il personaggio di Dracula rappresentava tutto ciò che a Londra la società vittoriana temeva e rifiutava perché diverso: il seduttore, l’omosessuale, ma anche l’ebreo; molte caratteristiche del conte vampiro, infatti, come la sua enorme ricchezza, l’abitudine di succhiare letteralmente il sangue delle sue vittime come fanno metaforicamente gli usurai con i loro debitori, l’odio per la croce, e quindi per il cristianesimo, sono le stesse in genere attribuite agli ebrei dal pensiero antisemita. Insomma lo straniero, il diverso, in una parola, come direbbe Freud, il perturbante, l’elemento estraneo che si inserisce in una società apparentemente armoniosa e perfetta, sovvertendone l’ordine e spesso svelandone le contraddizioni interne e le magagne nascoste, a ulteriore conferma che i veri orrori sono quelli che si celano dentro di noi e che troviamo più comodo attribuire agli altri.
di Giovanni Morandini