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In “Romanzo senza umani” (Paolo Di Paolo, Feltrinelli, 2023) si racconta di uno storico, Mauro Barbi, esperto della Piccola Era Glaciale, che in realtà cerca di ricostruire la sua, di era glaciale. “Senza umani” infatti sembra essere ciò che caratterizza la sua vita. Il titolo – e qualche passaggio in cui vengono descritti paesaggi che non si accorgono di noi umani – mi avevano tratto in inganno, perché il vero contenuto del racconto non è la natura (non umana) ma sono i ricordi del protagonista. Epifanie, più che ricordi. Di Paolo inventa scene istantanee ma dettagliatissime e apparentemente insignificanti che irrompono nella mente di Barbi, il quale ne diventa ossessionato. Ciò che lo tormenta di più è il dubbio su come le altre persone, che in passato hanno fatto parte della sua vita, si ricordino di lui e su cosa ricordino di quelle scene.
L’esigenza di ricostruire il suo passato (e quindi la sua identità presente) secondo una versione comune lo porta a contattare persone perse molti anni addietro, tramite telefonate, email, e viaggi improvvisati, nel tentativo di “disgelare” dalla sua solitudine. Il suo professore mentore, le ragazze che ha amato, gli amici chiamati per cognome, un alunno, la ragazza che gli ha sfondato l’auto. Tutto quanto per poi accorgersi, amaramente, che i ricordi degli altri non combaciano con i suoi, e che è solo nel suo passato così come lo ha “congelato” lui.

Devo dire che però, leggendo il libro, sono riuscita meno a visualizzare Barbi esplorare (più o meno intenzionalmente) il proprio archivio di ricordi, quanto più mi è venuto da pensare a Di Paolo, davanti al foglio di testo, cercare nell’archivio delle sue parole le più dense e raffinate per esprimere la profondità dei pensieri, condensati in frasi molto brevi. Per questo non è sicuramente un romanzo per tutti, richiede una certa concentrazione, e dà l’impressione di dover essere interpretato come se ci fosse un significato inafferrabile – ma non nascosto – dietro queste parole. Anche i dialoghi consistono in un botta e risposta, come se i dialoganti completassero l’uno la frase dell’altro lasciando nell’aria ogni possibile reale approfondimento di ciò che pensano.
Ma il messaggio resta molto bello, e forse la forma un po’ poco organica è funzionale a trasmetterlo: tentiamo maldestramente di congelare il passato, sperando che i nostri ricordi, condivisi o meno, non siano sconnessi, e forse la condivisione è lasciata, appunto, “nell’aria” proprio perché non è mai realmente possibile fino in fondo. La conclusione (non lo spoiler) del libro, che ritorna al titolo, è che senza umani esiste solo il presente, perché ciò che ci circonda esiste per noi solo dentro il tempo e la memoria. E il tempo e la memoria di cosa viviamo sono cose, forse purtroppo, personali: diverse per ciascuno.
Recensione di Anna Bonavia
