IN PRIMA LINEA
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«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole»: è questo l’incipit dell’undicesimo capitolo della Genesi, nel quale viene narrato l’episodio della torre di Babele, la spiegazione mitologica che la religione ebraica ha dato per motivare l’esistenza delle diverse lingue. Gli uomini, che fino a quel giorno parlavano un unico linguaggio, a causa della loro arroganza vengono puniti da Dio, con la creazione di nuove lingue: queste generano incomprensioni tali da allontanare le persone che collaboravano al progetto e da bloccare la costruzione della Torre.
In questo periodo storico, così tristemente denso di guerre e conflitti e in cui la libertà di espressione viene spesso negata, è facile chiedersi se un linguaggio comune possa agevolare le trattative diplomatiche, semplificare i rapporti tra popoli e governi differenti o anche solo aiutare a garantire il diritto alla comunicazione. Numerosi sono gli esempi di lingue verbali artificiali create per essere universali: tra queste, che tecnicamente vengono chiamate lingue ausiliarie internazionali, la più famosa è sicuramente l’esperanto. Tuttavia, nessuna è mai riuscita a imporsi.
Qualcuno ha provato ad ideare un sistema comunicativo universale che non comprendesse il verbale, ma solo segni grafici o gesti. Grandi matematici e filosofi come Cartesio, Giordano Bruno, Gottfried Leibniz cercarono invano di creare un linguaggio matematico-logico comprensibile da tutti, semplice e, appunto, accessibile attraverso i numeri. Ma è nella prima metà del ‘900 che Karl Kasiel Blitz, un ingegnere chimico e semiologo ucraino, ispirato proprio dagli scritti di Leibniz, ideò un linguaggio ausiliario internazionale non verbale: il Blissymbol.
Nato nell’impero austro-ungarico, Blitz partecipò alla Prima guerra mondiale e, in seguito, si laureò a Vienna in Ingegneria chimica nel 1922. Nel 1938, però, in quanto ebreo, venne internato nel campo di concentramento di Dachau e poi in quello di Buchenwald, uscendo solo un anno dopo grazie all’intervento della moglie Claire. Dopo una lunga fuga attraverso l’Inghilterra (dove lui cambiò nome in Charles Kasiel Bliss) e la Grecia, i due giunsero infine a Shanghai, in Cina. Qui Bliss entrò in contatto con gli ideogrammi cinesi e si accorse che erano comprensibili anche a persone che parlavano dialetti diversi. Iniziò quindi a sperimentare una scrittura internazionale semplice, logica e facile, mosso dall’ideale che questo suo esperimento potesse eliminare le barriere linguistiche e portare la pace tra le nazioni.
II linguaggio da lui ideato è composto da un piccolo numero di forme base (11 caratteri lineari e 24 simboli internazionali) che, combinate fra loro, danno luogo a moltissime combinazioni di concetti, parole, significati: per esempio, acqua + freccia in giù divengono pioggia, cuore + freccia in su divengono gioia, felicità.
Anche dopo la guerra, in Australia, Bliss continuò ad aggiornare e proporre la sua scrittura universale che, nonostante i suoi sforzi, non fu tuttavia mai utilizzata allo scopo di abbattere le barriere linguistiche. Nel 1971, però, venne a conoscenza del fatto che un’équipe riabilitativa interdisciplinare dell’Ontario Crippled Children’s Centro di Toronto (Canada) aveva iniziato a utilizzare i suoi simboli con bambini affetti da esiti di paralisi cerebrale infantile; in seguito, quel linguaggio venne anche utilizzato per soggetti con ritardo del linguaggio, afasia, insufficienza mentale. Dopo gli accordi nel 1975, il Blissymbol divenne a tutti gli effetti uno dei primi linguaggi non verbali dell’Augmentative and Alternative Communication (AAC). Con l’espressione AAC si indicano tutte le modalità di comunicazione che possono facilitare e migliorare l’espressione di tutte le persone che hanno difficoltà ad utilizzare i più comuni canali comunicativi, soprattutto il linguaggio orale e la scrittura. Essa è aumentativa perché non sostituisce ma incrementa le possibilità comunicative naturali della persona. Ed è alternativa perché utilizza modalità di comunicazione alternative e diverse da quelle tradizionali.
Oltre al Blissymbol, esistono anche altre biblioteche di immagini che fungono da supporto a tante persone che non riescono a parlare e che, per questo motivo, rischiano di venire spesso mal interpretate e non capite, di essere anticipate nelle risposte, di non essere considerate nei loro tentativi di comunicare, di essere ritenute incapaci di comprendere e provare emozioni. Forse, nonostante la globalizzazione e i diversi passi avanti nel mondo delle disabilità, il sogno di un linguaggio universale non si realizzerà mai e non saremo forse mai tutti in grado di comunicare mediante un’unica lingua, verbale o non che sia, ma possiamo fare in modo che il diritto a comunicare sia preservato, per tutti, consapevoli che ciò che è fondamentale per comunicare è avere un interlocutore. Sta a noi decidere se demolire o continuare a costruire insieme.
di Alessandro Trevisan
Pieter Bruegel the Elder, The Tower of Babel (Vienna, Museum of Art History)
