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Presentati! Il tuo nome, cosa hai studiato a Venezia, quando hai vissuto a San Servolo e tre aggettivi per descriverti.
Sono Sofia Marini, laureanda in Philosophy, International and Economic Studies, allieva del Collegio per il triennio 2020-2023 e abitante di San Servolo da settembre 2020 a dicembre 2021, quando il Collegio si è trasferito a Santa Marta. Invece che tre aggettivi, dico tre parole… non ironicamente sole, cuore, amore.
Qual è il tuo primo ricordo di San Servolo?
La prima volta che sono andata a San Servolo avevo dieci anni. Visitai l’isola assieme ai miei genitori in occasione di una gita fuori porta; mai avrei immaginato che qualche anno dopo mi sarei trasferita lì (vorrei ben vedere…).
Raccontaci un aneddoto divertente che ricordi vividamente dai giorni passati a San Servolo.
Non è un aneddoto divertente, ma ho un ricordo piacevole dei momenti di socialità nella Reading insieme agli altri collegiali e di come verso sera si verificasse una sorta di migrazione di massa verso il molo per vedere il sole scendere in laguna. Uno dei tramonti più belli della mia vita l’ho ammirato da lì: era il 15 dicembre 2021, l’ultimo mese della storia del Collegio a San Servolo, e anche il giorno precedente a un esame. E’ stato un buon presagio.
Quale è la tradizione collegiale a cui eri più legata?
Sicuramente le matricolimpiadi e le laureandolimpiadi, l’alfa e l’omega dell’anno collegiale, l’incipit e la conclusione del mio percorso collegiale. E’ stato bello sia organizzarle che viverle. Non posso non menzionare le feste di Collegio, che a San Servolo avevano come spazio la Common 2, e il barbecue nel periodo estivo. Il momento che aspettavo con più trepidazione era la catarsi di Bella Ciao, cantata e ballata a squarciagola nello spazio angusto della Common. Quel rituale, che aveva della sacralità, era condizione necessaria di ogni festa collegiale. In ultima istanza, il fatto di essere isolati dal resto della città ci dava la libertà e il privilegio di organizzare feste che per motivi logistici non potrebbero essere mai tenute a Venezia.

Vivere su un’isola della laguna di Venezia è un’esperienza che non molte persone hanno fatto, cosa definirebbe per te l’unicità di questa realtà?
Sono veneziana per metà, da parte di padre, eppure la Venezia che ho vissuto negli anni universitari è diversa da quella che ho vissuto coi miei genitori: questo lo devo in gran parte a San Servolo. La vita in isola per me è stata totalizzante; complice la pandemia, San Servolo è stata un’oasi contemplativa in cui ho avuto un equilibrio tra dimensione individuale e comunitaria. A San Servolo mi sono innamorata nuovamente di Venezia, perché ho scoperto una città che non conoscevo attraverso gli occhi di chi non l’aveva mai vista. I ritmi delle mie giornate erano scanditi dal via vai del vaporetto, che solo una volta all’ora ci collegava a Venezia città, per cui diventava fondamentale organizzare gli impegni di vita attorno alla linea 20 (vostra omonima). Nonostante questo, ho sempre pensato alla vita a San Servolo come a un privilegio. Mi piace citare le parole di Cheng Hao Xu nella lettera a un collegiale che sta per entrare: “È un onore risiedere su un gioiello della Laguna come l’isola di San Servolo, è un onere sopportare ogni giorno almeno quarantacinque minuti di trasferimento verso l’università (garantisco io, ne vale la pena!)”. Cheng è ironico, ma le sue parole contengono un fondo di verità.
Se potessi donare qualcosa di San Servolo agli attuali collegiali di Santa Marta, cosa daresti loro?
Probabilmente la dimensione autentica di convivialità e comunità. A San Servolo c’era una forzatura, dettata dall’assenza di una cucina in ogni camera, che spingeva i collegiali a riunirsi in Common Room a cucinare e mangiare. Questa faceva, giocoforza, la socialità collegiale. Conseguentemente, la comunità a San Servolo era più viva, coesa e forte che a Santa Marta, dove la Common è un luogo di aggregazione aperto a chi davvero ha volontà di godersi il Collegio nel senso stretto, cioè nella sua accezione comunitaria.
Cosa hai provato l’ultima volta che sei salita sul 20 da collegiale?
Ho lasciato l’isola il 19 dicembre 2021: l’ultima volta che sono salita sul 20 da domiciliata sanservolina, mi sono commossa. Avevo deliberatamente scelto di andare via prima degli altri, ma due giorni dopo sono tornata per salutare i collegiali ancora in isola, approfittando di impegni burocratici legati all’Erasmus del semestre successivo, che mi hanno riportata a Venezia. A differenza della volta precedente, salire sul vaporetto è stato più sereno. L’ultimo periodo a San Servolo è stato catartico: nel giro di una settimana abbiamo affrontato la sessione e il trasloco. Ricordo concitazione e frenesia: avevamo poco tempo, dunque ci siamo concentrati sugli esami, relegando l’impacchettamento agli ultimi giorni sull’isola. Al netto della fretta, le nostre priorità erano ben chiare: ci siamo curati di togliere dal muro lo striscione “Fischia il Venti” (che ora si trova nella Common Room di Santa Marta n.d.r.), così come i poster, manifesti e orpelli che nel tempo avevamo accumulato nelle zone comuni, rendendole nostre, vissute. Non nascondo che ho impiegato del tempo ad abituarmi alla quotidianità di Santa Marta, che inizialmente percepivo decisamente aliena: il Collegio che mi mancava nei mesi dell’Erasmus in Scozia, infatti, era il Collegio di San Servolo, non Santa Marta. Col tempo ho iniziato ad apprezzare Santa Marta, scoprendo una socialità non strettamente collegiale, e svolgendo attività che di stanza a San Servolo difficilmente avrei fatto, dati gli impedimenti logistici. Allora è subentrata l’accettazione. In ultima istanza, ricordo San Servolo con grande affetto, con suoi i limiti e le possibilità. Lì davvero ‘ci mancava tutto; non ci serviva niente.’
di Camilla Benagli e Matteo Carrassi
Foto di Sofia Marini
