Turia, un’eccezione che conferma la regola

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Ho presentato al Simposio del 3 maggio 2020 parte del lavoro svolto per la mia tesi di laurea triennale, in cui ho indagato l’esistenza di rivendicazioni di emancipazione da parte delle donne romane: della ricerca ha fatto parte anche l’analisi della Laudatio Turiae, iscrizione funeraria del I secolo a.C. che racconta la storia di una donna le cui azioni furono (almeno apparentemente) fuori dall’ordinario.

«L’elogio funebre di tutte le brave donne è, di solito, semplice e simile»: così recita un passaggio dell’iscrizione fatta realizzare, all’epoca di Augusto (fine I secolo a.C. – inizio I secolo d.C.), in onore di una donna chiamata Murdia. Questa affermazione, nella maggior parte dei casi, è vera: vi è però un famoso esempio coevo che la contraddice. 

Si tratta della cosiddetta Laudatio Turiae, così chiamata perché la matrona cui è dedicata è stata identificata con una certa Turia, moglie del senatore Quinto Lucrezio Vespillo (anche se i frammenti superstiti della grande tavola di marmo su cui il testo era iscritto non ne hanno conservato il nome). 

Il marito, autore dell’elogio, ci ha consegnato un resoconto dettagliato della storia personale e delle qualità di questa donna. Soffermandosi soltanto su queste ultime, sembrerebbe di dover dare ragione all’iscrizione in onore di Murdia: Turia infatti, si legge, era dotata di tutte le virtù degne di una matrona rispettabile. Eccone alcune: la pudicizia, l’affabilità, l’accondiscendenza, la modestia, nonché, naturalmente, la dedizione alla filatura della lana (caratteristica che era parte del modello ideale femminile sin dall’epoca arcaica). L’applicazione pratica di tali qualità doveva risultare in uno stile di vita che privilegiasse l’ambito domestico e una presenza quanto più possibile silenziosa in pubblico. 

Tuttavia, il racconto della vita di Turia comprende anche episodi nei quali non si può certo dire che la donna non si sia fatta notare in pubblico. Il primo risale al periodo giovanile: quando i genitori furono uccisi e si tentò di invalidare il testamento del padre, Turia si incaricò dell’azione legale per la riabilitazione del testamento poiché né suo marito né il marito della sorella si trovavano a Roma. Come si può intuire, non era certo visto di buon occhio che una donna agisse in giudizio: delle pochissime donne “avvocato” dell’antichità romana ci è stato tramandato un ritratto dispregiativo e caricaturale (tranne che nel caso di Ortensia, figlia di un celebre oratore, al quale fu attributo il merito retorico anche della figlia), ed in generale i pubblici uffici erano prerogativa maschile. 

Ma non è tutto: dopo la pubblicazione, nell’anno 43 a.C., di una lista di cittadini proscritti, cioè condannati a morte per la loro appartenenza politica avversa a quella dei tre “padroni di Roma” (i triumviri Antonio, Lepido e Ottaviano), Turia dovette intervenire pubblicamente a favore del marito che era stato bandito. In questa occasione sembra avere agito come una sorta di agente militare al suo servizio: è definita il suo «difensore» (con il termine latino propugnatrix, in cui si riconosce la radice di pugno, «combattere»), perché si fece promotrice della riabilitazione del marito presso il triumviro presente a Roma, Lepido. E, come un vero soldato, ebbe a sopportare delle «crudeli ferite» che Lepido, qui dipinto con tratti negativi, le inferse, umiliandola in pubblico. 

D’altronde già in precedenza Turia aveva supportato la fuga di Lucrezio Vespillo da Roma, dovuta sempre a ragioni politiche, e per potergli provvedere subito un sostegno economico si era addirittura spogliata dei gioielli che portava (un gesto simbolico, come quello che era stato compiuto dalle matrone per salvare la città dal saccheggio gallico del 390 a.C.). 

Naturalmente, anche la difesa “militare” e politica, al pari dell’azione legale, non era un ambito di competenza femminile. Non esisteva neppure un vocabolario adatto ad indicarla, e pertanto si ricorreva all’utilizzo del lessico maschile. Le donne che sconfinavano in campi d’azione loro estranei erano dunque definite virago, ovvero donne che «si comportano da uomini»: una nota esponente della categoria fu Fulvia, la moglie di Marco Antonio, attiva in politica e addirittura alla guida di alcuni combattimenti a Perugia, della quale in effetti le fonti raccontano che «non aveva nulla di femminile, tranne il corpo». 

Come è possibile, dunque, che il marito di Turia desiderasse celebrare e ricordare pubblicamente i comportamenti della moglie che potevano essere percepiti dalla società dell’epoca come inappropriati per una donna? 

La risposta è semplice, e si può ricavare dalla lettura della porzione finale del testo: qui si racconta che, una volta ristabilita la pace, Turia si dedicò al proprio compito di brava moglie preoccupandosi di garantire una progenie al marito (e, dato che ciò non fu possibile, offrendosi addirittura di selezionare per lui una nuova sposa!). Ciò significa, quindi, che gli atti “straordinari” da lei compiuti furono ben limitati cronologicamente ai periodi di assenza del marito, coincidenti inoltre con un’epoca di crisi e generale sovvertimento delle regole nello stato romano a causa delle guerre civili. A ben guardare, poi, è anche possibile ricondurre questi suoi “sconfinamenti” in territorio virile alle virtù matronali: in effetti, l’impegno a riabilitare il testamento del padre fu dettato dalla devozione filiale, mentre le azioni compiute a favore del marito furono guidate dalla fedeltà coniugale – entrambe qualità richieste alle donne perbene. La storia di Turia (o di chiunque fosse l’anonima matrona oggetto dell’elogio) mostra, insomma, che per le donne romane è stato possibile conquistare degli spazi di azione innovativi in momenti di particolare crisi ed eccezionalità della storia, senza, però, che ciò risultasse necessariamente in cambiamenti del modello ideale cui era loro richiesto di aderire. A tale modello, che faceva parte del complesso di valori tradizionali romani chiamato mos maiorum, andavano ricondotti i nuovi stili di vita delle donne anche laddove la pratica quotidiana ormai se ne discostasse: anche le eccezioni, in altre parole, dovevano confermare la regola.

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