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Arsenale di Venezia, 23 gennaio 1499
Da alcuni giorni Venezia è attraversata da una certa tensione, perché si sta diffondendo la voce che i turchi, a vent’anni dal loro primo conflitto con Venezia (1463-1479), siano intenzionati a tornare in guerra con la Repubblica per strapparle altri territori nel Mediterraneo. Tra i vari provvedimenti presi, il Consiglio dei dieci ha deciso, il 15 gennaio, di armare 30 nuove galee da guerra in risposta alla minaccia ottomana: noi, nel tour di oggi, approfitteremo della situazione per scoprire come funzionava l’Arsenale di Venezia cinque secoli fa, quando era ancora la prima e più grande fabbrica d’Europa.
In questo periodo l’Arsenale non ha ancora raggiunto la sua massima espansione, però se ne possono già distinguere le tre grandi aree principali: l’Arsenale Vecchio, cioè il nucleo originario costruito tra 1100 e 1300, l’Arsenale Nuovo, frutto degli ampliamenti del ‘300, e l’Arsenale Nuovissimo, aggiunto proprio durante la prima guerra con i turchi. Quando il prossimo anno, nel 1500, Jacopo de Barbari realizzerà la sua veduta prospettica di Venezia, l’Arsenale sarà ben visibile sulla destra, rappresentato con dovizia di particolari.
Il ruolo di questo stabilimento è fondamentale per la Repubblica: esso lavora solo per lo stato, fabbricando quasi esclusivamente galere, destinate alla guerra o al commercio di beni preziosi o facilmente deperibili. Queste ultime, essendo utilizzate da privati, vengono appaltate temporaneamente ai mercanti, che devono poi provvedere all’arruolamento dei marinai e, soprattutto, dei galeotti (i rematori): a Venezia essi sono, in questo momento, solamente uomini liberi, stipendiati e attirati dalla possibilità di commerciare per conto proprio una piccola quantità di beni senza pagarvi dazi e dogane; nel resto del Mediterraneo, invece, è già diffuso l’utilizzo di sforzati, cioé rematori carcerati che, dopo essere stati presi prigionieri in guerra o essere finiti in prigione, scontano la propria pena incatenati al remo.
Torniamo all’Arsenale e iniziamo a visitarlo: il suo ingresso, per chi lo raggiunge a piedi, è la Porta di Terra, che, sebbene ancora senza i grandi leoni di marmo che Francesco Morosini porterà dalla Grecia nel ‘600, è già resa maestosa dal suo arco di trionfo e dal suo portale in bronzo: essa, insieme alle mura che lo circondano, divide l’Arsenale dal resto della città, a causa della sua immensa importanza strategica come “cuore dello Stato veneto”. I lavori stessi che avvengono all’interno dell’Arsenale, come anche le tecniche utilizzate, sono altamente segreti, motivo per cui gli arsenalotti (gli operai che ci lavorano) costituiscono una classe dotata di molti privilegi, che essi ricambiano con un’assoluta fedeltà. Questa si manifesta, per esempio, nei compiti loro affidati: non solo, infatti, lavorano nell’Arsenale, ma sono anche le guardie della Zecca e di Palazzo Ducale, fungono da vigili del fuoco, trasportano il pozzetto (una specie di portantina) su cui siede il doge durante il giro di Piazza San Marco per la sua elezione, e infine ne portano la bara alla sua morte.
Ma in quanti lavorano in questa immensa struttura? Mediamente il numero delle maestranze si aggira intorno alle duemila persone, che in momenti di favorevoli congiunture economiche o di emergenze militari possono diventare anche più di tremila. Il loro lavoro è organizzato come una catena di montaggio, che rende quindi l’Arsenale il primo complesso industriale d’Europa: nei cantieri dell’Arsenale Nuovo e Nuovissimo si costruiscono e si impermeabilizzano gli scafi; questi vengono quindi varati e passano poi all’Arsenale Vecchio, dove, davanti a una serie di magazzini, progressivamente si montano o si imbarcano gli alberi, i cordami, le vele, i remi e infine gli armamenti (anch’essi forgiati nell’Arsenale stesso); infine si carica il panbiscotto, una specie di galletta che, ammollata con olio, costituisce la razione principale dei galeotti. Questa organizzazione del lavoro, unita al grandissimo livello di specializzazione degli arsenalotti, rende l’Arsenale capace di costruire dalle 40 alle 60 galere l’anno, con quindi una media di una nave a settimana. Non solo: in occasioni particolarmente importanti, come in caso di guerra o per dimostrare la propria potenza ad ambasciatori stranieri, l’Arsenale sembra riuscire a costruire una nave in un giorno solo, sfruttando pezzi prefabbricati.
Dopo questa visita possiamo capire, allora, come mai Dante fosse stato tanto impressionato da questo luogo, nella sua ambasciata a Venezia, da immortalarlo così nel canto XXI della sua Commedia:
«Quale nell’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno nuovo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa -;
tal, non per foco ma per divin’ arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte.»
Di Francesco Danieli