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Waverley; or, ‘Tis Sixty Years Since (Waverley; o, Sessant’anni fa, 1814) è il primo romanzo storico di Sir Walter Scott e, per molti, il primo romanzo storico in senso compiuto. Sebbene sacrificato – soprattutto in Italia, dove è stato tradotto nel 1829, 1934 e 1969, edizioni cui si aggiunge una traduzione della prima parte del 2018 – ad altri testi più famosi dello scrittore scozzese, tra cui Ivanhoe (1820), Waverley è, a nostro parere, perfetto per un adattamento come serie tv. Apparteniamo alla categoria de “il libro era meglio del film”, quindi uno sceneggiato ci sembra il compromesso migliore per non perdere particolari sull’altare del dio dei tagli. Ecco alcune tra le innumerevoli ragioni per cui il romanzo potrebbe trasformarsi in un capolavoro per il piccolo schermo.
1. La storia
Il giovane inglese Edward Waverley, figlio di un sostenitore interessato del governo Hanover e nipote di un giacobita rassegnato, si ritrova ufficiale di un reggimento in Scozia alla vigilia della tragica rivolta del 1745. Il bell’inglese, però, ha letto un po’ troppo per il suo stesso bene e, sognando un passato di gesta eroiche, si innamora perdutamente di quanto c’è di sublime in Scozia, ignorando sistematicamente la terribile realtà dei fatti che gli si para davanti. La storia, con la rappresentazione di un conflitto civile e della dialettica tra ideali e modi di vivere e pensare, di un percorso di ricerca di identità e di scoperta che il mondo non è tanto ideale e nettamente contrapposto come lo vorremmo, si offre come sempre attuale e riuscirebbe sicuramente a coinvolgere ogni tipo di pubblico, dai giovani ai più anziani.
Scott, poi, riesce a legare la comicità e la tragicità suscitate dalla vicenda con grande maestria, soprattutto tramite l’intervento di un narratore ironico e mai invadente, che segue il punto di vista del protagonista per filtrare gli eventi (tanto che si è parlato di “filtro della storia”). Una serie tv potrebbe tranquillamente seguire Edward senza fornire informazioni aggiuntive rispetto agli indizi lasciati qui e lì da Scott e all’evidenza che solitamente Waverley ignora, per marcarne ulteriormente il contrasto. In altre parole, il mezzo visivo potrebbe offrire ulteriori e immediati spunti di riflessione per lo spettatore.
Inoltre, nella rappresentazione di un passaggio dalle illusioni e dalla caparbietà della fine dell’adolescenza alla vita adulta, il romanzo si connota anche come Bildungsroman, romanzo di formazione, un filo conduttore che legherebbe e rafforzerebbe la conclusione della vicenda e della serie.
2. I personaggi
I personaggi di Scott sono ben scritti, sempre attuali e capaci di offrire al pubblico di una serie sia faziosità alla Game of Thrones, sia qualche lacrima. Sicuramente Fergus Mac Ivor – il foil di Edward Waverley – e sua sorella Flora occupano la scena: bellissimi, cresciuti in esilio in Francia e per questo commistione della grande raffinatezza della corte d’oltremanica e dell’appassionato e concreto spirito celtico, i due fratelli difficilmente non riescono a suscitare la nostra ammirazione, complice l’impresa che decidono di intraprendere. Sono due personaggi completi e complessi, coerenti fino alla fine ma anche lucidi nelle loro valutazioni di se stessi e di ciò che li circonda (Flora in particolare). Una serie tv potrebbe facilmente esaltare tanti piccoli dettagli al loro proposito – modo di vestire e di camminare, voce, espressioni – per dare le ultime pennellate ai superbi, tragici ritratti di Scott.
Anche il protagonista si merita (oppure no? Ci sono grandi dibattiti in merito) li nostro interesse, sia per la sua comicità a tratti pericolosa, sia per il suo entusiasmo, inizialmente infantile ma, successivamente, sempre più maturo. I lettori appassionati non faranno fatica a riconoscervisi, e potrebbero forse giovare dal paragone. Potersi godere almeno visivamente le due biblioteche, poi (quella di Waverley Honour, la tenuta storica dei Waverley, e quella di Tully Veolan, nelle Lowlands), appagherebbe spiritualmente qualunque lettore.
Altri personaggi che meritano la nostra attenzione sono Rose, tenera, gentile e completamente cotta, suo padre, il Barone di Bradwardine, con il suo commovente attaccamento ai propri ideali e la comica parlantina incomprensibile, il suo amministratore Macwheeble, sempre alla ricerca di soldi, e il Colonnello Talbot, la storia che lega quest’ultimo al Barone, il precettore di Edward, i membri del clan Mac Ivor, i banditi delle Highlands, lo Young Pretender (o “Bonnie Prince Charlie”, come veniva chiamato Charles Edward Stewart), …
Anche il rapporto di Edward con il padre e gli zii, Sir Everard e Miss Rachel, offre spunti interessanti. Se questi ultimi, infatti, crescono Edward come un figlio, il padre è sempre distante, piuttosto disinteressato al figlio se non quando può giocare un ruolo nella sua carriera politica. Una serie tv potrebbe sfruttare espedienti visivi, come, per esempio, la sovrimpressione di immagini alla voce del padre che legge una propria lettera al figlio, per sottolineare ancor più le sfaccettature di questi rapporti.
3. L’ambientazione
Sicuramente l’ambientazione di Waverley è visivamente superba. Si va dall’Inghilterra centrale, dove si trova Waverley Honour, una tipica tenuta all’inglese con parco annesso e, ribadiamo, una splendida biblioteca, alle Lowlands, dove si trova Tully Veolan, la tenuta pittoresca dei Bradwardine, alle Highlands, dove si trova Glennaquoich, il maestoso e goticheggiante castello dei Mac Ivor, immerso in un paesaggio sublime.
Waverley spazia anche attraverso le città (Londra, Edimburgo, Carlisle, ciascuna caratterizzata diversamente), i villaggi e la natura incontaminata che Waverley attraversa nel corso dei suoi spostamenti. Non mancano balli sontuosi e ricevimenti mondani, vita quotidiana di più classi sociali, vita e marce militari, campi di battaglia, la devastazione della guerra, azioni eroiche e situazioni profondamente toccanti. L’interesse culturale di Scott, che voleva far conoscere la Scozia ai vicini di casa e finì per farla amare a tutta Europa, si amplia per noi a un interesse sociale e antropologico rispetto alla vita dell’epoca più in generale. Insomma, una serie per tutti i gusti.
4. Lo scontro-incontro
Due mondi diversi, anzi, diametralmente opposti, che si incontrano, provando – e raramente riuscendo – a comunicare. Su questo nodo si fondano sia la comicità sia la tragicità della vicenda narrata da Scott. Da una parte, il Barone e il mondo di Tully Veolan, una sorta di oasi all’interno della quale il passato sopravvive intatto e protetto dalla realtà del presente. Si tratta di un mondo comico perché cieco alla realtà, come dimostrano la pedante parlantina del barone e i suoi guai al momento di interpretare la lettera del cerimoniale di corte (per l’incidente vi rimandiamo direttamente al romanzo). Dall’altra parte, Fergus, Flora e la loro rivolta giacobita: una rivolta che cerca di opporsi alla realtà storica e di cambiarne il corso, con esiti prevedibili ma non per questo meno drammatici. Si tratta di topoi che ben si prestano a una trattazione visiva, soprattutto per i gustosi o commoventi dettagli con cui li costruisce l’autore (si pensi, per esempio, al primo incontro tra Waverley e il Barone di Bradwardine).
Nelle intenzioni dichiarate di Scott (per cui si veda il Poscritto al romanzo e l’introduzione alla General Edition dei Waverley Novels del 1829), il romanzo voleva parlare di un mondo che, all’epoca della stesura del testo, non esisteva più. Scott, pur essendo consapevole dei benefici che avevano seguito il massacro della rivolta giacobita del 1745, era anche conscio della scomparsa di costumi e valori di quel mondo feudale che sarebbe valsa la pena ricordare e tenere presenti:
“There is no European nation which, within the course of half a century or little more, has undergone so complete a change as this kingdom of Scotland. The effects of the insurrection of 1745,—the destruction of the patriarchal power of the Highland chiefs,—the abolition of the heritable jurisdictions of the Lowland nobility and barons,—the total eradication of the Jacobite party, which, averse to intermingle with the English, or adopt their customs, long continued to pride themselves upon maintaining ancient Scottish manners and customs,—commenced this innovation. The gradual influx of wealth and extension of commerce have since united to render the present people of Scotland a class of beings as different from their grandfathers as the existing English are from those of Queen Elizabeth’s time. […] This race has now almost entirely vanished from the land, and with it, doubtless, much absurd political prejudice; but also many living examples of singular and disinterested attachment to the principles of loyalty which they received from their fathers, and of old Scottish faith, hospitality, worth, and honour.” (Waverley, LXXII, “A postscript which should have been a preface”)
“Non vi è nazione europea che, nel corso di mezzo secolo o poco più, abbia subito un cambiamento tanto completo quanto il regno di Scozia. Gli effetti dell’insurrezione del 1745 – la distruzione del potere patriarcale dei chief delle Highlands, l’abolizione delle giurisdizioni trasmissibili della nobiltà e dei baroni delle Lowlands, il completo sradicamento del partito giacobita, che, avverso al mischiarsi con gli inglesi o all’adottare i loro costumi, continuò a essere fiero di conservare gli antichi usi e costumi scozzesi – diedero inizio a quest’innovazione. Il graduale influsso di ricchezza e l’ampliamento dei commerci si sono da allora uniti per rendere l’attuale popolo scozzese una classe di individui tanto diverso dai loro nonni quanto gli inglesi di oggi lo sono da quelli dell’epoca della regina Elisabetta. […] Questa razza è ormai quasi interamente scomparsa da questa terra, e con essa, senza dubbio, molti assurdi pregiudizi politici; ma così sono scomparsi anche molti esempi viventi di un attaccamento singolare e disinteressato ai principi di lealtà, che avevano ricevuto dai loro padri, e di fede, ospitalità, valor e onore della vecchia Scozia.” (Waverley, LXXII, “Un poscritto che sarebbe dovuto essere una prefazione”)
Come è stato già notato¹, i romanzi storici di Scott sono romanzi che si concentrano sulla crisi e sul confine. Sulla crisi, perché Scott torna al momento di scontro tra due modi di vivere e pensare (quello giacobita e quello hannoveriano) per esplorarne tutte le implicazioni non per i grandi personaggi, come Bonnie Prince Charlie, ma per le persone più comuni, come Edward o Flora. Sul confine, perché è qui che si scontrano queste due weltanschauung e che si decidono le sorti dell’una o dell’altra. Anzi, il confine è proprio ciò che verrà cancellato con la weltanschauung perdente, grazie all’inglobamento da parte di quella vincente e del suo potere politico. Scott propone di tenere presenti altre possibilità: cercare di comprendere il proprio passato per costruire più consapevolmente il proprio presente, incontrare un’altra cultura senza pregiudizi e pronti a coglierne gli aspetti più positivi, sebbene sempre con vigile atteggiamento critico. Trattato nella forma più facilmente fruibile della serie tv, il romanzo raggiungerebbe un pubblico molto ampio e porterebbe uno spunto fertile al giorno d’oggi, dove gli scontri culturali (e non solo) e la globalizzazione mettono a dura prova e al contempo offrono nuove occasioni per l’economia culturale mondiale.
NOTA: sebbene il linguaggio possa qui e lì costituire un’aggiunta comica non voluta, l’edizione italiana di Waverley del 1825 (tradotta da Virginio Soncini) è in ogni caso una lettura curiosa. La potete trovare qui (primo di 4 volumetti).
¹ cfr., per esempio, Enrica Villari, “Narrativa, storia e costume: Walter Scott”, in Storia della civiltà letteraria inglese, 1996; Franco Moretti, Atlante del romanzo europeo 1800-1900, 1997.