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Sediamo ad un tavolo, io, Cristiana ed Alessandra, sotto i portici cittadini, e loro cominciano a raccontarmi dell’esperienza in carcere, di quello che ha significato essere volontarie nella Casa Circondariale di Lanciano.
“Il carcere mi ha liberato” afferma Cristiana, professoressa nel Liceo Classico della città, mentre Alessandra, con i suoi 22 anni e i suoi studi di Criminologia, annuisce convinta. Le guardo e qualcosa mi dice che non potrò mai capire fino in fondo l’esperienza che hanno vissuto, tra le quattro mura e i mille catenacci del carcere di Lanciano. Attraverso le pagine dei poemi omerici e le note di canzoni contemporanee hanno creato un legame profondo con i detenuti di alta sicurezza del carcere di Lanciano. So cosa vi state chiedendo e la mia risposta è: sì, i detenuti di alta sicurezza sono soprattutto colpevoli di reati di mafia e, come è giusto che sia, scontano la pena per i reati commessi. Come dice Cristiana, però, “più lunga è la pena, tanto più c’è bisogno di ri-educazione” e la rieducazione in questo caso è passata attraverso il “fare cultura” col progetto “Tra Mito e Storia: alla ricerca della nostra identità”.
Quando ero ancora alle superiori, Cristiana mi ha insegnato che la radice di “cultura” è la stessa di “coltura”: fare cultura vuol dire coltivare e coltivarsi. È certamente questo quello che Cristiana e Alessandra hanno cercato di fare assieme a Salvatore, Raffaele, Francesco e ai tanti altri esseri umani che ci sono dietro l’appellativo di “carcerati”. Partendo dai miti che tutti conosciamo, come quello di Eracle che affronta le sue fatiche o quello di Arianna che fa i conti con il dramma dell’abbandono per arrivare fino a quello di Ettore che affronta la morte con un’umanità commovente, Cristiana ed Alessandra hanno voluto riattualizzare delle storie antichissime che continuano a parlare delle sfide dell’umano per “fare proprie le lezioni di questo cammino che prende il nome di <<vita>>”, come direbbe Salvatore.
“Noi detenuti in genere viviamo la quotidianità nell’ozio, ci sentiamo invisibili, soli con noi stessi, sottratti al mondo, toccando con mano privazioni, mancanze e assenze, finendo stritolati da un labirinto senza fine, con un senso di vuoto e di freddo.” Colpiscono, le parole di Raffaele, e ci invitano a riflettere. Mi fanno comprendere cosa intendono questi uomini quando salutano Cristiana o Alessandra con un “Sei una di noi”. In carcere, hanno imparato, Cristiana ed Alessandra, tanto quanto hanno insegnato e hanno abbattuto i muri che dividono il “noi” dal “loro”. È imprescindibile che la giustizia faccia il suo corso, ma l’esperienza di queste due volontarie ci insegna che ogni uomo ha qualcosa da insegnare, a dispetto della condizione in cui vive, e che dovremmo avere l’umiltà di ricordarcelo ogni volta che ci abbandoniamo a giudizi preconfezionati.
Di Clara Cuonzo
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