Muoiono gli ulivi in Salento

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“Le generazioni prima di noi li hanno sempre visti verdi, noi siamo la generazione che li vede secchi.”

Ha un sorriso amaro sul volto, Alessandro, mentre parla degli ulivi, dei suoi ulivi, degli alberi che per generazioni hanno dato sostentamento alla sua famiglia e a tante altre qui, in Salento. Guarda fuori, Alessandro, verso l’ulivo che giace quasi addormentato nel cortile. Le cime più alte, che un tempo sfidavano il cielo con la loro possanza, oggi sono di un marrone scuro, prive di linfa e di vita, accasciate quasi, mentre una ridente accozzaglia di nuovi rami, verdi, nasce alla base del tronco.

Lo guardo io, quest’ulivo che combatte il male che ha dentro, e mi sembra abbia una possibilità, mi sembra che una speranza, per quanto remota, ci sia. Ma il mio sguardo è quello di una profana: appartengo, mio malgrado, a quella schiera di gente di città che ama l’agricoltura in modo idillico, senza conoscerne drammi e difficoltà. Alessandro, invece, che non arriva ai quaranta, ma che ha degli occhi profondissimi, dolenti, sa che anche ai quei rami colorati di verde speranza non rimane più di anno. Un’altra raccolta forse, quella autunnale che si avvicina, e poi non ci sarà più nulla da fare anche per quest’ulivo. Sembra che la morte qui avanzi senza nulla temere, falciando gli ulivi, mettendo in ginocchio gli agricoltori e provando duramente l’economia del Salento, se non quella dell’intera Puglia.

Ha altre 8000 piante, Alessandro, e sente che moriranno tutte. Ci sono gli alberi giovani, piantati quando era bambino e cresciuti con lui, e ci sono gli alberi millenari che, se potessero parlare, ci racconterebbero delle incursioni dei Saraceni, della Morte Nera, del dominio angioino e poi di quello aragonese, dell’Italia unita. Chissà se ci descriverebbero poi, da una prospettiva inascoltata e inascoltabile, lo sfaldamento della Jugoslavia e le difficoltà di coloro che si sono riversati nell’Adriatico, questo mare strettissimo, in cerca di una speranza.

Moriranno, gli ulivi, sotto i colpi della Xylella, venuta di lontano per uccidere, ma anche sotto i colpi della siccità che avanza, di una gestione poco sostenibile dell’agricoltura in Puglia (come nel resto d’Italia), di un uso spropositato di pesticidi e di istituzioni che sembrano incapaci di risolvere i problemi che la globalizzazione e il riscaldamento globale ci mettono davanti. E resterà poco o nulla delle cultivar autoctone, così ben adattate all’aridità del territorio salentino: il futuro s’addensa sempre più fosco all’orizzonte, ora che la Natura e le sue verdi promesse ci voltano le spalle.

di Clara Cuonzo

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