Nel precedente articolo ho parlato degli aspetti prettamente turistici della capitale slovena. Il nostro viaggio a Lubiana, però, non si è fermato alle visite diurne: dal momento che una città va vissuta a 360 gradi, questo secondo articolo si dedicherà a uno sguardo un po’ diverso sulla città.
Innanzi tutto, un pregio da non tralasciare parlando della capitale slovena è la gastronomia. A Lubiana si mangia bene e con poco: la cucina slovena presenta numerose influenze ottomane (particolarmente gradito dalla nostra compagnia è stato il popolarissimo Burek, ricetta originariamente turca ma molto diffusa nella penisola balcanica), ma se la cava molto bene anche con i piatti tradizionali, rigorosamente a base di carne, in porzioni abbondanti e serviti a prezzi più che onesti nei numerosi ristoranti tipici del lungofiume. Un semplice piatto di pane e ćevapčići a Lubiana fa sognare.
Anche il dopo cena, però, non è da trascurare. La capitale slovena è incredibilmente viva e giovane: dopo il tramonto, Lubiana si popola di studenti, artisti di strada, concerti e feste. Nel centro si trovano i locali più classici, dalle discoteche alle rustiche birrerie; ma il vero fulcro della vita notturna va ricercato altrove, spostandosi lievemente in periferia, nella singolare Metelkova.
Metelkova Mesto (“città Metelkova”) è una delle più note attrazioni di Lubiana: un centro di cultura alternativa nato dalle rovine dell’ex distretto militare, testimone storico della guerra di indipendenza contro l’ex Jugoslavia. Metelkova Mesto nasce come protesta contro la demolizione del distretto: nel 1933, un gruppo di artisti e intellettuali riuniti in un’associazione chiamata Mreza Metelkovo occuparono gli edifici per impedirne la distruzione. Da quel momento, a Metelkova si è cominciato a creare: un’arte provocatoria e colorata in continua trasformazione, fatta di tubi di scarico trasformati in una torre variopinta, di macchine rottamate, di sederi rosa incastonati sulle pareti, di biciclette viola appese sopra le porte, di cassette per la posta impilate, di statue grottesche, di horror vacui e di street-art in continuo cambiamento.
Dopo il 1933, per tre anni a Metelkova ha resistito uno squatter, che poi è stato trasformato in un centro di cultura: oggi il quartiere è il centro della vita notturna alternativa della città. Metelkova è autonoma rispetto al governo nazionale, ed è autogestita da un consiglio di residenti, il cui scopo è fare in modo che questa realtà rimanga un perfetto punto di incontro tra impegno sociale, ribellione, arte e cultura. Come è successo in tutti i quartieri indipendenti in giro per l’Europa (basti pensare al caso di Christiania a Copenaghen), questa sua pericolosa autonomia ha messo a rischio, negli anni, l’esistenza del quartiere: nello scorso decennio, due edifici sono stati abbattuti, tra cui Mala Sola, una casetta azzurra con patio adibita a centro culturale, spazio per mostre, workshop e dibattiti, uno dei simboli della resistenza del popolo di Metelkova.
A dispetto di tutto, il quartiere continua ad esistere, trasformarsi e fiorire, insegnandoci alcune semplici ma importanti lezioni: i luoghi di abbandono possono essere germogli per la nascita di nuove opportunità, se opportunamente coltivati (“dal letame nascono i fiori”, cantava De André); oggetti inutilizzabili che si credono perduti possono invece rinascere come opere d’arte; nulla rimane uguale a se stesso in eterno, tutto è in continua mutazione e l’immobilità equivale alla morte; la protesta è tale ed è efficace se, oltre alla pars destruens, è accompagnata da uno sforzo creativo, teso alla ricerca di nuove, inaspettate soluzioni.