Note dal fronte orientale #18

Un giorno ho conosciuto M. per caso. Camminavo assieme a una ragazza tedesca tra i campi coltivati palestinesi, sulla strada che da Sebastia conduce a Nablus. Appena messo piede nella periferia della città, ci invitano dentro un salotto a prendere un caffè per cinque minuti, come si usa qui. Ci fermiamo cinque minuti, che diventano tre ore e passa, e prendiamo il caffè, che diventa una cena, yalla, poche storie. I bambinetti ci ruzzolano attorno e un’armata di volti si stringe in cerchio con noi. Sono tutti uomini, le donne restano in un’altra stanza.

M. è uno dei ragazzi della famiglia, ventisei anni, ed è uno di questi uomini. Sorride sotto gli occhiali tondi e sfoggia il fisico ingrossato di chi va in palestra quelle sei volte al mese. Ha un negozio di vestiti a Nablus. Si vede che è entusiasta di cogliere l’occasione per parlare inglese.

Perché sì, sapete, parla stentato, io l’ho imparato l’inglese, ma è passato tanto tempo. Ora voglio parlarlo ancora con voi se volete.

Parlalo pure con noi.

Il discorso vira presto su Israele e Palestina, come prevedibile.

Sapete, una volta mi hanno chiamato a casa, con un numero che non conoscevo, racconta.

Chi ti ha chiamato?

Eh, chi mi ha chiamato? Come dici mukhabarat in inglese?

I servizi segreti?

Esatto, i servizi segreti. Mi hanno chiamato con un numero che non conoscevo e io rispondo sempre male con i numeri che non conosco. Da quella volta non rispondo più male, dice tamburellando le dita.

Ma parlavano in arabo?

Parlavano in arabo, sì, e mi hanno detto ciao M., siamo i servizi segreti. Io ho risposto sì, e io sono il presidente Abu Mazen. E loro hanno detto no guarda, non c’è niente da scherzare e mi hanno detto il numero della mia carta d’identità, il mio luogo di nascita, che è Riyad, e altre cose che so solo io.

Si interrompe, aspira dal narghilè e riprende, allora gli ho chiesto ma voi cosa volete? E loro hanno risposto vogliamo vederti al checkpoint tal dei tali a quell’ora, chiaro? Chiaro, ho risposto. E sono andato a quel checkpoint tal dei tali a quell’ora.

E?

E sono andato dai soldati e i soldati mi hanno visto, e mi hanno detto ciao M., ti aspettavamo. Sai M., sai M. perché noi siamo qui in Palestina? Ho risposto… per difendere Israele, forse? E loro mi dicono no, M., non per difendere Israele. Siamo qui per difendere i palestinesi. Quindi se hai qualcosa da dirci, se vuoi raccontarci qualcosa su qualcuno, se pensi che dobbiamo sapere delle cose, questo è il nostro numero. Questo è il nostro numero, M., e hai bisogno di soldi?, ti possiamo dare dei soldi. Se devi dirci qualcosa ricorda che noi siamo qua per difendere i palestinesi, non siamo mica i cattivi, e se devi dirci qualcosa, mi raccomando, ricordati che abbiamo parlato assieme. Possiamo darti dei soldi, possiamo darti. Pensaci M., pensaci.

E tu?

E io li ho ringraziati e sono andato via.

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