Note dal fronte orientale #13

Il giorno dopo essere tornato a Tel Aviv da Hebron, sono a lezione. La professoressa di ebraico ci fa conversare del più e del meno, tra le altre cose: come hai trascorso il fine settimana? Tento di azzardare una di quelle mosse che non si contraddistinguono per il basso profilo, in barba alle regole che mi sono dato. Racconto, bla bla bla, questo fine settimana sono stato ad Hebron.

La professoressa di ebraico ha lavorato per anni nella polizia, la mishtarah. Noto che aggrotta le sopracciglia, senza neanche tanto nasconderlo, e capisco che ho già messo un piede oltre la linea rossa di quello che in Israele è usualmente consentito dire e fare. Perché?, mi chiede.

Ritratto subito, sono cristiano. Volevo vedere la tomba di Abramo.

La sue sopracciglia si distendono e annuisce con un sorriso.

Ma ad Hebron, innanzitutto, ci ero tornato. La città a macchie di leopardo, dove per impedire i contatti tra l’insediamento israeliano e la città palestinese si sono addirittura saldate le porte dei negozi che davano sulla strada principale, Shuhada street.

Avevamo incontrato un ragazzo con cui avevamo passato il check point per entrare nella zona della città sotto controllo israeliano. Entriamo sotto lo sguardo dei soldati che aspettano di là dei tornelli. Venite, venite, ci dice mettendosi alla nostra testa. È molto loquace: ha una parlantina irrefrenabile, voglia di raccontare. E noi lo seguiamo.

Oltrepassiamo la piazzola dinanzi alla moschea e alla sinagoga. Lungo questo tratto di strada la città è deserta. A un centinaio di metri ci sono dei soldati che zampettano attorno ad un blindato. Vedete quel punto della città?, ci chiede il ragazzo.

Lo vediamo. E vediamo pure che ci sono quattro persone che arrivano dalla parte opposta, avvicinandosi a quei soldati. Hanno la kippah sul capo e le camicie bianche infilate nei pantaloni eleganti.

Il ragazzo continua, in quel punto ho perso almeno cinque dei miei amici, morti in più di un’occasione. Se ci avviciniamo, sono autorizzati a spararci. Solo perché sono palestinese. Hanno ammazzato cinque miei amici lì.

Io guardo lui e poi guardo i soldati. Poi guardo i coloni israeliani che avanzano verso di noi: sono quattro, tutti uomini, uno di loro ha la carabina M4 a tracolla. Il caricatore nero è innestato. Ma loro sono solo civili, non soldati. Avanzano a passo sicuro. Il fucile oscilla stando al ritmo del passo del suo portatore.

Sono autorizzati a spararci. Ho perso almeno cinque amici in quel punto.

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