“Così era Parigi nei primi anni quando eravamo molto poveri e molto felici.”
Gli anni ‘20 a Parigi, Les Années Folles, furono il risultato di una situazione storica nuova e tragica. Il quadro europeo era quello del primo dopoguerra, caratterizzato da grandi incertezze di matrice economico-politica nei paesi vincitori, da una forte crisi economica e da un sentito disagio socio-politico nei paesi sconfitti. Tuttavia, era finalmente terminata la Prima Guerra Mondiale e la spontanea conseguenza fu il crearsi di un’atmosfera superficiale e festosa. La popolazione mondiale celebrava la fine delle stragi, della falsa propaganda e degli ideali corrotti, ponendo un punto al triste capitolo della Grande Guerra ed affogando ogni ricordo a essa connesso in un atteggiamento disinteressato e in un clima di festa.
Particolarmente interessante e visceralmente legata a Les Années Folles era la realtà statunitense. Nel primo dopoguerra gli USA avevano ormai definitivamente conquistato il titolo di leader mondiali ed erano stati risparmiati dalle distruzioni del conflitto, elemento che favoriva e marcava la loro leadership. Ciononostante, agli albori degli anni ‘20, iniziarono a diffondersi atteggiamenti d’intolleranza e razzismo (basti pensare al Ku Klux Klan), dando vita ad un cupo scenario che permeò per anni la società statunitense, culminando nel fenomeno del Proibizionismo. Mentre nel resto del mondo la popolazione si abbandonava al proprio destino trovando conforto nella consapevolezza di una guerra conclusa, un gruppo di artisti di origine statunitense ed europea, che nel suo complesso prendeva il nome di Generazione Perduta, confluiva a Parigi, animato dall’orrore che aveva generato la Grande Guerra e dalla convinzione di vincere con sensibilità e consapevolezza l’atmosfera che si era andata a creare. Di vincerla come artisti; rinnovandosi, rivedendo le proprie tecniche espressive ed aprendosi a nuove possibilità, oltre che a nuovi orizzonti, dando vita, nella florida Parigi degli anni ‘20, ad una realtà artistico-culturale avanguardista, estremamente innovativa ed animando a versi, note e pennellate la vita dei cafè e delle strade parigine.
Ernest Hemingway parafrasava con due parole questa realtà: moveable feast. La festa mobile, in un calendario, è quella che ricorre ogni anno in una data diversa; la Pasqua, ad esempio. Ma cosa intendeva veramente lo scrittore statunitense con questa espressione? Nel 1964 venne pubblicato postumo Festa Mobile, romanzo scritto da Hemingway, ma rimasto incompiuto. Patrick, secondo figlio dell’autore, ne scrisse la prefazione spiegando il significato del titolo del romanzo:
[…] Comunque, cosa posso dire a proposito del titolo? Mary Hemingway lo ricollega a un’osservazione fatta da suo marito ad Aaron Hotchner: “Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dovunque tu possa poi andare per il resto della tua vita, Parigi te la porterai sempre con te, perché è davvero una festa mobile”. Quando mio padre fu libero di sposare mia madre Pauline, acconsentì a convertirsi al cattolicesimo e a frequentare un corso di formazione religiosa a Parigi. […] Immagino che il prete che istruì mio padre […] svolse il suo ruolo molto seriamente. Uno dei concetti che deve aver discusso con mio padre era quello della festa mobile. Gli deve aver spiegato che si trattava di importanti festività religiose, legate alla variabilità della ricorrenza pasquale, e pertanto esse stesse variabili. […] La complessità di una festa mobile deriva dal calcolo della data di Pasqua nel calendario di un dato anno; da cui si ricava facilmente la data nella quale collocare ogni e qualsivoglia festa mobile dello stesso anno. […] In più tarda età, l’idea di una festa mobile divenne per Hemingway […] la memoria, o addirittura un modo d’essere, parte di noi stessi, qualcosa che rimanesse dentro di noi, per sempre, dovunque potessimo andare e qualsiasi vita potessimo condurre, e che non potessimo mai più smarrire. […] Ora che ho cercato di prepararvi a tanto, ecco qui l’ultimo frammento del mestiere di scrittore di mio padre, come vera premessa a Festa mobile: “Questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima è stata manomessa e il secondo non esiste”.
Ed è proprio con questo romanzo che voglio iniziare voi lettori al mondo folle, povero, ma inguaribilmente felice della Parigi degli anni ‘20.
Giulia Barison