3. Musica di notte

Benedetta e benedizione, questa musica è in qualche modo equivalente alla notte, alla profonda e viva oscurità, nella quale, ora in un singolo getto, ora in un fine intrecciarsi di melodie, ora in pulsanti e quasi solidi coaguli di suoni armoniosi, si riversa, si riversa senza freni, come il tempo, come le crescenti e calanti, capitolanti traiettorie di una vita. È l’equivalente della notte in un altro modo di essere, come un’essenza è l’equivalente dei fiori da cui è distillata.
C’è, o almeno sembra esserci, una sorta di beatitudine nel cuore delle cose, una misteriosa beatitudine della cui esistenza incidenti occasionali o provvidenze (per me, questa notte è una di queste) ci rendono oscuramente, o può darsi intensamente, ma sempre fugacemente, ahimè, sempre per pochi brevi momenti, consapevoli. […] [Questa] musica è l’equivalente di questa notte mediterranea, o anzi della beatitudine che giace nel cuore della notte, della beatitudine come sarebbe se fosse ripulita dell’irrilevanza e della contingenza, raffinata e separata nella sua quintessenza di purezza.
Aldous Huxley, Music at Night, in Music at Night and Other Essays, 1931

Aldous Huxley (1894-1963) è uno di quegli autori che si scoprono generalmente per caso, salvo poi scoprirne l’importanza mondiale e le sette nomine (purtroppo, mai una vincita) per il Nobel. Il suo romanzo più famoso è il distopico Il mondo nuovo (Brave New World). Se avete presente il gruppo musicale The Doors, sappiate che il loro nome deriva dal titolo di uno dei saggi di Huxley, appunto The Doors of Perception, che parla delle sue esperienze con la mescalina e riprende un altro autore tutto da scoprire, William Blake (1757-1827): If the doors of perception were cleansed everything would appear to man as it is, infinite (The Marriage of Heaven and Hell, v. 115).
Molti dei membri della famiglia Huxley si rivelarono delle eccellenze nei campi delle scienze naturali, della medicina, dell’arte, della letteratura, o si limitarono a diventare membri di rilievo della res publica britannica. Aldous avrebbe voluto dedicarsi alla scienza, come il padre e i fratelli (l’uno biologo e, tra le altre cose, primo Direttore Generale dell’UNESCO, l’altro premio Nobel per la Medicina), ma una malattia agli occhi gli impedì di intraprendere una carriera in campo medico. Come scrisse poi suo fratello Julian, la sua quasi cecità fu una “benedizione travestita”. Aldous aveva la capacità di abbracciare così tanti campi che una specializzazione tanto impegnativa lo avrebbe costretto a sacrificare le proprie potenzialità.

Oltre alla produzione di romanzi e racconti, Huxley collaborò alla stesura di sceneggiature per il cinema, scrisse poesie, opere teatrali, un libro per bambini, alcuni articoli per la Vedanta Society e numerosissimi saggi, tra cui The Rest is Silence, Vulgarity in LiteratureMusic at Night.

In Music at Night Huxley si pone contro i critici troppo “zelanti” che pretendono di esprimere a parole l’arte. D’accordo, una parafrasi può essere utile, quando leggiamo Shakespeare o Dante, e alcune indicazioni su come guardare a un quadro possono essere rivelatrici, ma il limite della critica si raggiunge facilmente. Una volta detto ‘con parole proprie’ quanto, o, anzi, quanto poco le ‘parole proprie’ possono dire, il critico può solo indirizzare i propri lettori all’opera originale: lasciate che vadano e vedano con i propri occhi.
L’unica cosa che veramente non si può esprimere a parole, per Huxley, è la musica. La musica “dice” cose a proposito del mondo, ma in specifici termini musicali. Qualunque tentativo di ridurre queste affermazioni musicali in “parole nostre” è necessariamente condannato al fallimento. Non possiamo isolare la verità contenuta in un brano, perché è una bellezza-verità ed è inseparabile dalla sua compagna.
Eppure è proprio la musica che si avvicina più di ogni altra arte ad esprimere dalla pura sensazione all’intuizione della bellezza, dal piacere e il dolore all’amore e l’estasi mistica e la morte – tutte le cose che, per lo spirito umano, sono più profondamente significative (The Rest Is Silence, in Music at Night and Other Essays, 1931). Tutti questi momenti significativi possono solo essere provati, non comunicati, e il resto è sempre e ovunque silenzio. La musica riesce ad avvicinarsi ad esprimere l’inesprimibile perché si costruisce sul silenzio, che rimane parte integrante della sua struttura. La buona musica dimostra di saper dialogare con esso, e dice molto meno una musica che sta sempre parlando (questo con una frecciatina alla musica di Wagner, che con il suo torrente senza fine risulta molto meno comunicativa di quella di Beethoven o Mozart).
Ciò che è veramente straordinario della musica è la capacità di evocare nell’ascoltatore a volte il fantasma di quelle esperienze, a volte quelle esperienze stesse nella loro piena forza vitale. E di farlo non restituendone la parzialità, l’incompletezza, ma evocandone la perfetta pienezza. Solo la musica può restituirci la migliore esperienza in sé di cui la nostra natura è capace – un’esperienza migliore e più completa rispetto a quella concreta che abbiamo mai avuto prima di ascoltare musica.
La musica riesce a sublimare l’esperienza umana, a trarci per la durata di un brano fuori dal nostro vissuto contingente e imperfetto, e a restituirci noi stessi in una forma cristallina. Ascoltare musica diventa un evento al contempo estremamente fisico – ci viene restituita l’esperienza che noi stessi abbiamo avuto – e astratto – quest’esperienza che noi riconosciamo è sublimata al di là di quanto abbiamo potuto provare in prima persona. Questa combinazione di concretezza e astrazione riesce a porci in dialogo con la nostra individualità, a rendere tangibile e comprensibile la complessità delle sensazioni, dei sentimenti, della psiche. Riesce a offrirci, da una parte, quella distanza critica che ci permette di guardare a noi stessi con minore parzialità, e dall’altra tocca le corde più profonde del nostro io coinvolgendoci come nient’altro può, e portandoci vicini come non mai a comprendere come beauty is truth, truth beauty (J. Keats, Ode on a Grecian Urn, 1819, pubb. 1820). La bellezza-verità della musica può essere restituita solo da essa stessa: se vogliamo sapere, dobbiamo ascoltare – preferibilmente in una notte di giugno, con il respiro del mare invisibile come sottofondo alla musica e l’aroma degli alberi di limone che si spande nell’oscurità, come una squisita, delicata armonia appresa da un altro senso.

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