Viviamo in un mondo stupendo.
Ne sono sempre più convinta, soprattutto da un paio di giorni, da quando in due ore sono riuscita ad andare a trovare mia sorella in Olanda. Delft è una piccola città, patria fiera e felice del grande Jan Vermeer – quello che ha dipinto la ragazza con l’orecchino di perla (il cui vero nome è “Ragazza con turbante”, ma quello che interessa a tutti sono quei quattro puntini di colore che danno l’illusione di un orecchino). Vermeer ha passato qui tutta la sua vita: era un pittore con i controfiocchi, ma neppure nei suoi sogni più sfrenati di eretico secondo la Santa Chiesa avrebbe immaginato che qualche sbuffo di tempo dopo una ragazza qualsiasi sarebbe potuta arrivare in due ore a vedere casa sua.
E invece, eccomi qua, un sabato mattina di sole (il vento e il freddo fanno atmosfera ma non sono importanti). Stamattina vedo quello che ieri sera era ammantato di buio: sotto un cielo azzurro intenso sporcato di nuvole, file e file di casette di mattoni scuri, con grandi finestre con gli infissi bianchi e tetti spioventi, a perdita d’occhio per le strade, e nessuna tenda che impedisca al cielo di specchiarsi nelle case o a me di sbirciare gli interni (pare che della privacy non importi a nessuno). Credenze, cucine, tavoli e salotti più o meno ordinati, e un suggerimento di giardino dalla parte opposta alla finestra. Così intime, così vissute queste case.
Le strade hanno i marciapiedi di pietra un po’ sconnessa, le porte sono di legno verniciato con le inferriate scure, e il verde degli alberi che orlano la strada o gli ingressi ha quella tonalità un po’ più viva tipica dei posti dove piove spesso. Quasi tutte le case sono simili – mia sorella dice che “urbanisticamente parlando Delft è tutta uguale”, ma capirai, lei è architetto – e hanno quasi tutte un bovindo o le tre ampie vetrate al pianterreno proiettate verso l’esterno, cosa che fa sembrare ancora più mobile il loro profilo. Se non si fosse capito, adoro queste case.
Ma la cosa che davvero è stupenda nel passeggiare con il vento è vedere alberi case e cielo specchiarsi nei canali: il freddo sembra rendere nitido anche il loro riflesso, mentre mi sporgo dai parapetti verniciati di bianco dei ponti. Si specchiano anche le luminarie natalizie già appese tra gli alberi, che alla luce somigliano a tanti boccini d’oro, mentre al buio, la sera, loro e le lucine tra i rami degli alberi si riflettono nei canali come tante lucciole immobili.
Vado in giro come una bambina al parco giochi, che si sazia gli occhi delle meraviglie intorno a lei – sarà per questo che su mia sorella ricade il compito di salvarmi dalle biciclette: paese verde l’Olanda, ci sono più bici che persone, di sicuro più che macchine, quasi tutte hanno un voluminoso cestino di vimini davanti, o direttamente un carretto con una ruota sola: ci portano oggetti come attrezzi da giardinaggio (come il ragazzo che quasi mi stira mentre non guardo dove vado), bambini imbacuccati fieramente seduti come fossero padroni del mondo (non conoscono ancora baby george) ma anche cose più normali, come un divano intero, che vedo ad Amsterdam più tardi. Le macchine sono troppo mainstream e poi – mi spiega mia sorella – qui sono le bici ad avere sempre ragione.
Il mio senso dell’orientamento inesistente rende sempre una sorpresa rivedere posti che ho già visto di sera, e così accade quando arriviamo nella piazza principale: ci siamo passate ieri appena sono arrivata, dopo che mi stavo esaltando per i bovindi e gli alberi con le lucine che brillavano nei canali, ma devo ammettere che di giorno con il sole fa tutto un altro effetto. È piuttosto grande e, mi sembra, perfettamente rettangolare, bordata da casette tipiche i cui tetti creano una linea continua di saliscendi che si staglia contro il cielo, interrotta da due edifici che si guardano dai due lati opposti: il municipio, con le dorature che brillano al sole, compatto ed insieme elaborato, e dall’altra parte questa torre, altissima in confronto alle case circostanti, che parte tozza e si allunga all’infinito in tante guglie, che potrebbe stare nei libri di arte al capitolo sul gotico.
Attraversata la piazza arriviamo al mercato: l’Olanda credo sia un paese di mercati, perché questo è il primo di tre che vedo in tre giorni. Ci sono banchetti per quasi tutto e la gente in giro sembra così allegra e gentile che ti senti grata perché è sabato e c’è il sole. Passiamo attraverso tutte le bancarelle ordinate, le cui merci più salienti sono essenzialmente cibo e fiori: fiori per tutti, bulbi e boccioli, e frutta e verdure che secondo mia sorella sanno di acqua ma lei non fa testo, formaggi dalla forma tonda e la superficie lucida e multicolore (ad Amsterdam c’è un Cheese and More per ogni stand di patatine fritte, cioè tanti), pane e dolci (sei muffin due euro: io verrò a casa con la scorta). Sarà l’ordine, la calma, sarà la semplicità, sarà la poca gente in giro (una costante, pare) ma l’atmosfera che si respira è di tranquillità, la serena vita nel tempo che scorre.
Sono sempre più esaltata per questa cittadina: i canali, le casette (con i bovindi), le biciclette, la zucca che riposa a caso di fronte a un ingresso, una pergola in un’altra piazzetta davanti a un negozio che vende torta di mele, le guance rosse dei passanti, le luminarie appese, il vento… Non penso di avere mai avuto un’idea precisa, ma Delft sarà per sempre quello che penserò quando avrò in mente l’Europa del Nord: un tipo di bellezza che nasce nel freddo e si offre accogliente allo sguardo.
Greta Galeotti