Se ci fate caso, ponendoci le questioni espresse nel precedente articolo abbiamo in un certo senso ridotto la portata del diritto di manifestazione del pensiero e abbiamo individuato un suo diretto discendente: il diritto di cronaca.
Ma torniamo a noi. Ci siamo lasciati dunque con alcuni dubbi da chiarire. L’Art. 21 fa questi effetti; è sempre difficile definire o limitare entro certi schemi un’attività così ampia e variegata. La vexata quaestio è sorta sulla veridicità delle dichiarazioni. Posso nel mio blog esprimere considerazioni evidentemente a carattere personale e, come tali, non agganciate a criteri di obiettività e verosimiglianza alla realtà dei fatti? E se nel farlo tratto magari dell’attività di una persona? Quali sono i limiti? In fondo il mio pensiero è pur sempre il mio pensiero e come tale (come abbiamo visto) è ben di più che inviolabile. Esso è indispensabile per la società democratica. A tal fine vi propongo un breve “giochetto”. Una serie di possibili soluzioni fra le quali dovete scegliere quella che vi va più a genio. Vediamo se la pensate come la pensa il legislatore o meno.
N°1. TESI “DEMOCRATICA”: Non importa se quello che dico sia o meno vero perché dirlo è un diritto che mi viene concesso dalla Costituzione. Se nel porlo in essere mi trovo a criticare l’attività altrui, non importa. Questo soggetto ha infatti a disposizione i miei stessi mezzi per rispondere all’eventuale “accusa“ e instaurare con me e con i lettori un dibattito ad armi pari.
N°2. TESI “GARANTISTA”: è vero che posso dire quello che voglio ma ci sono sedi e sedi. In sede di articolo giornalistico o blog non posso accusare l’attività di altre persone perché la sede deputata a ciò è il Tribunale. Posso dunque esprimermi in maniera libera, ma non posso accusare o criticare in maniera eccessiva perché questo è il compito del Giudice e io non sono un Giudice.
N°3. TESI “INDIVIDUALISTICA”: ognuno ha il suo modo di vedere le cose. Il blog o l’articolo di giornale mezzi di diffusione delle idee e delle opinioni. Non si possono pertanto ritenere lesi diritti altrui se esercito il mio diritto. Non importa nemmeno se l’altro abbia o meno possibilità di rispondere ad armi pari. Il mio “diritto di cronaca” non può essere limitato da ciò.
Il tema non è di facile trattazione ed è molto comune scontrarvisi nella vita quotidiana. Pensiamo ad esempio quando ci troviamo a scrivere di politica, di guerre, di calcio. Oppure quando scriviamo un articolo nel quale trattiamo argomenti scientifici o letterari e critichiamo le ricerche o le conclusioni di un nostro rivale. Tutte e tre le tesi sono plausibili ma, lo ammetto, non vi ho fornito gli elementi sufficienti per valutare. In questa sede dobbiamo prendere come parametro principale il Codice Penale, che agli artt. 594 e 595 tratta di “ingiuria e di “diffamazione”. Non è possibile allegarli in quanto risulterebbe eccessivamente gravoso per il lettore, ma consiglio di leggerli (potete semplicemente cercarli su google). In sintesi, il giochetto è questo: io posso esercitare un diritto fintanto che non ledo un diritto altrui. Se, ad esempio, nel fare polemica o nel criticare “offendo l’altrui reputazione” , allora commetto reato di diffamazione. E se invece riporto fatti non corrispondenti a verità ma non mi rivolgo a nessun soggetto in particolare, magari trattando di un evento accaduto in piazza, manifestazioni, attività politica, ecc.? In questo caso la giurisprudenza si è scontrata con il dato normativo, che in sé non porrebbe limiti intrinseci, esclusi ovviamente quelli legati alla vera e propria istigazione. La giurisprudenza ha definito tre limiti al diritto di cronaca:
1. Interesse pubblico alla notizia
2. Verità almeno putativa del fatto
3. Forma civile dell’esposizione.
In realtà questi tre limiti vanno applicati, secondo i giudici, a chi appartiene alla categoria dei giornalisti, che in quanto tale è soggetto a limitazioni e obblighi. Ma per noi comuni mortali tutto è lecito in questo senso. Possiamo esprimere il nostro pensiero rispettando solo i limiti sanciti dalla legge penale. Ah… scusate. Altro tema “piccante”: il buon costume. Unico vero limite espresso nella Costituzione all’art. 21. Che bella confusione questo art. 21. Ci riserveremo di trattare questo tema nella prossima puntata.
Contributo esterno di Marco Busetto