APPUNTI DAL GIAPPONE: お茶会

茶会 o la Cerimonia giapponese del Tè

Sendai, domenica mattina. Sono le 9, l’aria è frizzante e mi punge il viso. Così con gli occhi ancora mezzi chiusi e solo il pensiero del cuscino nella testa, mi ritrovo all’ingresso del tempio Rinnoji, nella parte nord della città. Per accedere al giardino interno ci fanno lasciare le scarpe e calzare i geta, le tradizionali ciabatte giapponesi in legno, naturalmente con i calzini. Ora, superato il problema della divisione delle dita con il calzino addosso, m’imbatto nel problema della taglia. Passeggio quindi per il meraviglioso giardino, con laghetto e carpe dorate, immensi alberi e cespugli dal colore verde e arancio, con mezzo piede fuori dai geta. Un’immagine ben poco celestiale in confronto al paradiso in cui sono immersa.

Dopo una passeggiata, arriva il mio turno per entrare nella stanza della cerimonia. La stanza ha i tatami di bambù come pavimento e shoji, tradizionali porte in legno e carta di riso, come pareti e soffitti alti al massimo due metri.

Entro, lasciando i geta all’esterno, e mi sposto nella stanza stando in ginocchio, faccio prima un inchino al tokonoma, la nicchia con un rotolo e degli oggetti sacri, e poi, appena prendo posto in fondo alla stanzina, la cerimonia ha inizio.

Ci distribuiscono pasticcini di fagioli rossi dolci, accompagnati da inchini e ringraziamenti. Il modo di mangiarli è sistematico: ci sono dei movimenti ben definiti che la signora seduta vicina a me si presta a spiegarmi. Naturalmente, da goffa occidentale, ogni mia azione, anche se appena spiegatami, risulta sbagliata o strana, ma la signora, tranne dei risolini che si lascia sfuggire, non si scompone.

Ognuno, nel proprio kit per cerimonia del tè, ha dei tovagliolini, sui quali poniamo i dolcetti, e un piccolo coltello con cui tagliarli a metà. Tutto dopo un profondo inchino. Intanto la maestra sta preparando il tè, tranquillamente, ma con estrema attenzione. Con utensili appositi prende l’acqua calda dalla teiera, la pone nella ciotola, che tiene rigorosamente con la mano destra, aggiunge la polvere di tè verde e unisce il tutto con il pennello in legno di bambù. Dopo tutto questo il tè ci viene servito in una tazza scura da condividere in tre persone.

Il rituale per bere è questo: un inchino, tre sorsi, tre giri alla tazza verso destra e uno verso sinistra, e poi ringraziando si passa al vicino. Tutto racchiuso nella solennità del momento. Naturalmente con me tutta la solennità scompare, perché i miei movimenti non sono fluidi e sbaglio l’ordine delle azioni e il modo di eseguire i passaggi.

Ma nessuno dei giapponesi presenti si arrabbia, anzi. La mia vicina mi ripete più volte cosa fare e anche la maestra si avvicina e cerca di spiegarmi bene cosa fare e perché, anche se forse con un giapponese troppo spedito perché io possa veramente capire il tutto alla perfezione.

Tutti loro sono felici di condividere la loro tradizione con noi, stranieri e giovani, che sicuramente vediamo tutto questo da lontano ma che siamo anche in grado di presentargli un nuovo punto di vista.

Vogliono che tutta la loro tradizione non vada perduta, e per questo forse , si prestano alle mie domande, e mi aiutano nel momento di alzarmi da terra, perché le mie gambe non vogliono proprio collaborare.

Riesco a chiedere alla maestra di cerimonia da quanti anni fa questo lavoro, e riesco a capire che ha cominciato ormai da 50 anni, per il suo amore per la storia e la cultura tradizionale giapponese.

Dovranno certo lottare perché tutto questo non si perda nei tempi moderni. Ma, se questo loro sentimento resterà saldo, neanche il tempo potrà intaccare questa antica tradizione.

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