Etgar Keret è uno scrittore, sceneggiatore e regista israeliano. Autore di numerose raccolte di racconti brevi, insegna all’Università di Tel Aviv e all’Università di Ber Sheva. I suoi racconti, che spesso presentano situazioni surreali, fotografano l’assurdità di vivere in un Paese duramente colpito dalla guerra e che ciononostante cerca di trovare una sua impossibile normalità. In Italia ha pubblicato, fra gli altri, “Le tette di una diciottenne” (2006), “La notte in cui morirono gli autobus” (2010) e il più recente “Sette anni di felicità” (2015).
Nella short story che segue Keret, senza mai perdere la lucida ironia che da tradizione ebraica caratterizza la sua scrittura, affronta temi quali la xenofobia e il razzismo nella società israeliana, in una situazione figlia dei cambiamenti geopolitici della regione e del conflitto Israelo-Palestinese. Il testo, nella sua versione inglese, è stato pubblicato nel periodico “The New Yorker” nel numero del 1 dicembre 2014.
A CORTO DI UN GRAMMO
C’è una cameriera adorabile alla caffetteria vicino a casa mia. Benny, che lavora lì in cucina, mi ha detto che si chiama Shikma, che non ha un ragazzo, e che è un’appassionata di droghe ricreative. Prima di iniziare a servire ai tavoli alla caffetteria, non ero mai stato in quel posto—nemmeno una volta. Ma ora potete trovarmi appollaiato su una sedia ogni mattina. A bere espresso. A parlare un po’ con lei—di cose che ho letto nel giornale, degli altri clienti, dei biscotti. A volte riesco anche a farla ridere. E quando ride mi fa stare bene. L’ho quasi invitata al cinema qualche volta. Ma un film è troppo sfacciato. Un film è ad un solo passo dall’invitarla a cena, o dall’invitarla ad andare ad Eilat per un fine settimana al mare. Invitare qualcuna a vedere un film può significare solo una cosa; è praticamente come dire, “Voglio te”. E se lei non è interessata e dice di no, tutto finisce in modo spiacevole. Per questo motivo, chiederle di fumarsi una canna mi sembra un’idea migliore. Al peggio dirà, “Non fumo,” e io farò qualche battuta sui fattoni, e, come se niente fosse, ordinerò un altro espresso e passerò oltre.
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di Marco Galzignato