Gli Oscar di Linea20: La zona d’interesse

La Zona d’interesse è un film di Jonathan Glazer (Regno Unito, 1965) con Christian Friedel e Sandra Hüller. È stato presentato al Festival del Cinema di Cannes lo scorso anno, vincendo il Grand Prix speciale della Giuria e si è aggiudicato la vittoria agli Oscar come Miglior Film Straniero e Miglior Sonoro. 

La Zona d’interesse si presenta come una delle esperienze cinematografiche più rilevanti di quest’anno. Fornisce una riflessione ad osmosi di un tema che è stato tanto raccontato nel nostro secolo, ma che non è mai stato trattato con così tanta distanza dalle sue vittime: per questo, diventa un racconto universale. Non un film di guerra, non un film contro i nazisti, ma un film contro il genocidio. Ha fatto molto parlare la dichiarazione del regista dopo l’assegnazione del premio per Miglior Film Straniero. Glazer ha detto: «Il nostro film mostra dove porta la disumanizzazione nella sua forma peggiore. Siamo qui come persone che rifiutano il fatto che la loro ebraicità e l’Olocausto vengano strumentalizzati da un’occupazione che ha portato al conflitto così tante persone innocenti.»

La pellicola si presenta come un inciso tra lunghe riflessioni musicali su sfondo nero, e la presenza dell’immagine si palesa come un sogno ad occhi aperti. La verde estate polacca invade orizzontalmente lo schermo della sala, e le pittoriche figure dei bambini ariani vestiti di bianco scorrazzano tra il fiume e i prati. La famiglia Höss vive in un altro surreale inciso, tra la natura (apparentemente) incontaminata e il campo di sterminio di Auschwitz, il loro curatissimo giardino separato dal campo soltanto da un muro d’illusione. Un muro alto abbastanza da oscurare la vista di ciò che accade al di là di esso, ma non abbastanza da soffocare i rumori, gli spari, le urla, i lamenti. Il primo piano è sempre concesso alle patinate vicende della famiglia Höss, ai loro party, alle pulizie di casa, allo spacchettamento di vestiti e pellicce arrivati dal campo. Un’attenzione voyeuristica è riservata alla routine di Herwig e Rudolf Höss, volutamente ciechi e sordi alle atrocità che si svolgono a pochi metri dalla loro quotidianità. 

Rudolf Höss è un uomo che si rifugia spesso nel silenzio. Nelle mura di casa sua, sulla riva del ruscello. È un uomo che sembra essere alla costante ricerca di pace. Solo e isolato, sia nella sua casa, distante dalla moglie, sia in città, al lavoro. Lo seguiamo nella vita mondana degli alti piani nazisti, in riunione, dal dottore. Con uno sguardo sempre ristretto, claustrofobico, alienante. Un disagio fisico e personale emerge gradualmente dalla sua figura, finché neanche il corpo ne può più. Il corpo riconosce anche più di quello che la mente permette: infatti, il suo stesso fisico, infine, si rivolterà alla consapevolezza di quello che ha fatto. E lo sguardo scrutatore della storia e del futuro lo guarderà dritto negli occhi. 

Quella dello sterminio è un’atrocità raccontata sottovoce, messa volutamente in secondo piano per farla emergere urlante in momenti di catarsi visiva e uditiva. Il premio Oscar per Miglior Sonoro riconosce la capacità di questo film di creare il sussurrare costante della crudeltà, mai davvero zittito da nessuna festa in giardino, da nessuna conversazione mondana, da nessuna apparente e semplice quotidianità. Vengono poi aperte delle parentesi notturne mostrate in negativo, dove gli spazi verdeggianti vengono mutati nel colore e figure candide, quasi angeliche e salvifiche, svolgono piccole azioni nascoste di pura umanità. L’utilizzo di questa tecnica può essere letto come una volontà di porre l’attenzione su un’altra realtà, un’altra prospettiva, posta appunto in negativo rispetto alla vita di Höss e della sua famiglia. 

I cinema italiani hanno ben pensato di riproporre la pellicola nelle sale, e il mio augurio per i lettori è quello di riuscire a godere di questo film. Negli ultimi anni stiamo assistendo alla rinascita di un cinema davvero diversificato, innovativo, originale nella narrazione e nelle tecniche. Film come La zona d’interesse rinnegano quello che si pensava essere il declino del cinema e pongono riflessioni e impressioni durature nella storia della settima arte. 

di Gloria De Fazio

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