Premio Strega 2023: Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca di Maria Grazia Calandrone

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Dietro i vetri della finestra appare il volto di una fenice: è un baluginare della luce che la fa immortale. Rinascerai, Lucia, anche solo a parole. È tutto quello che posso. Intanto, affacciati. 

Maria Grazia Calandrone, autrice di Dove non mi hai portata, viene abbandonata dai genitori nei giardini di Villa Borghese, a Roma, nel giugno 1965. Ha otto mesi, è appoggiata su un plaid e non ha addosso alcun segno di riconoscimento. Le sue generalità verranno condivise solo dopo il suo ritrovamento, in una lettera pubblicata su L’Unità.

Nelle pagine del romanzo, l’autrice accompagna il lettore nell’indagine che conduce personalmente partendo dal caso di cronaca del suo ritrovamento per ricostruire le motivazioni che hanno spinto sua madre Lucia Galante e il compagno Giuseppe Di Pietro ad abbandonarla per poi gettarsi nelle acque del Tevere, il Fiume dal nome proprio che accoglie tutti quelli che gli affidano la propria vita, incapaci di sopportare ulteriori tribolazioni. 

Lucia è la quarta dei cinque figli nati da una coppia di contadini della provincia di Campobasso che gestiscono una masseria nel paesino di Palata. Quando Lucia viene al mondo, i genitori hanno già tre figlie: la quarta femmina non ci voleva. Finita la guerra, Lucia riceve solamente l’istruzione elementare obbligatoria. Vive una vita semplice, fatta di lavoro e parsimonia. Viene costretta a sposarsi con Luigi Greco, un compaesano malinconico, fannullone e alcolista, proprietario del terreno confinante con quello dei Galante. Il loro matrimonio è destinato a essere infelice. Lucia viene picchiata, sovraccaricata di lavoro, lasciata senza mangiare per giorni. Luigi non prova per lei alcun interesse, la famiglia di lui desidera punirla per la sua ostinazione nell’opporsi al matrimonio anche dopo che è stato celebrato. Dopo qualche anno, Lucia si innamora di Giuseppe Di Pietro, un capomastro sposato e padre di cinque figli che viene a farle dei lavori in casa. Quando Lucia scopre di essere incinta si trasferisce a casa dell’amante, scatenando lo sconcerto dei compaesani. Nella provincia molisana non c’è posto per un coppia di amanti fedifraghi, che decidono di fuggire. Salgono a bordo della Fata Morgana, il treno degli emigranti che dal Mezzogiorno si spostano al Nord per cercare una vita migliore. Si trasferiscono nella provincia operaia di Milano, ma le condanne che gravano su di loro minacciano l’esistenza della neonata famiglia: adulterio, concubinaggio, abbandono del tetto coniugale. Lucia e Giuseppe devono rimanere formalmente legati alle vite che vorrebbero lasciarsi alle spalle: è il 1964 e il divorzio, in Italia, ancora non esiste.

Calandrone recupera fascicoli di archivio, cartelle cliniche, documenti. Intervista gli abitanti di Palata, chiede loro se si ricordano di Lucia, la ragazza dai riccioli scuri che continua a portare sciolti anche dopo le nozze, invece che decorosamente raccolti come vuole la tradizione. 

Riesco a rintracciare le pagelle di Lucia: i suoi voti sono tutti buoni. La materia in cui eccelle è “educazione morale”, nella quale allo scrutinio finale si guadagna un bel nove. Visto come poi è andata la sua vita, la scoperta fa sorridere amaro. 

La lotta di Lucia per sfuggire ad un’esistenza oppressiva si interseca con alcuni dei più significativi temi dell’epoca: l’arretratezza culturale e infrastrutturale della provincia, la condizione subalterna della donna nel matrimonio e la migrazione interna nella Milano simbolo del boom economico. Lucia si ribella alle convenzioni, ma è costretta ad arrendersi. Lascia la sua bambina sul prato, attende che un passante si accorga di lei, poi si allontana nella speranza che Maria Grazia venga affidata ad una famiglia che riesca nel compito che lei, a causa delle condanne penali, della povertà e della disperazione, sente di non poter più portare avanti: offrirle una vita dignitosa.

In Dove non mi hai portata Calandrone non solo ricostruisce le vicissitudini dell’amore clandestino dei suoi genitori biologici, ma porge anche omaggio alle persone a lei più care: a sua figlia Anna, che la accompagna nelle sue ricerche regalandole le sue brillanti intuizioni di adolescente; ai coniugi Consolazione Nicastro e Giacomo Calandrone, gli amorevoli genitori adottivi a cui Maria Grazia venne affidata dal giudice tutelare, che ha riconosciuto in loro la famiglia giusta per lei quando i parenti superstiti si erano rifiutati di farsi carico della “figlia del peccato”; e a Lucia, sua madre, che ha immaginato, progettato e difeso la sua vita anche quando la propria le era diventata insopportabile.

di Giulia Marcon

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