L’Editoriale

FEDELI ALLA LINEA

Tempo di lettura: 2 minuti

Bentornatә a questo nuovo numero di Linea 20. In una continuità non voluta con il precedente, il numero di questo mese si concentra sul mondo cinematografico, lasciandosi alle spalle il mondo artistico-musicale. Ci spostiamo quindi dalla manifestazione italiana nazionalpopolare per eccellenza – il festival di Sanremo – alla premiazione filmografica più famosa al mondo: gli Oscar. 

Tra i momenti salienti, che hanno reso questa edizione unica e diversa dalle precedenti, va sicuramente ricordata, insieme alle infelici battute di Jimmy Kimmel nel rivolgersi a Malala Yousafzai, la vittoria di Michelle Yeoh, prima donna asiatica a vincere la statuetta. L’attrice malese ha ribadito l’importanza di non smettere di credere nei propri sogni: dreams do really come true. Ke Huy Quan si accoda e riprende il discorso della collega; sottolineando l’importanza di avere e perseguire dei sogni, eleva la sua vittoria a esempio lampante dell’American Dream: dal suo arrivo come migrante negli Stati Uniti e la sua esperienza in un campo profughi fino alla vittoria dell’ambita statuetta d’oro. 

Se puoi sognarlo puoi farlo diceva Walt Disney. Il sogno, quello americano, è stato quindi il filo rosso e tema centrale dei discorsi dellә due attorә asiaticә. Il sogno, quello americano, che concepisce l’ambizione e la determinazione individuale come unicamente determinanti per la realizzazione personale, eliminando dall’equazione tutti quegli elementi e ostacoli sistemici che, di fatto, impediscono il perseguimento dei propri sogni. Insomma, l’American Dream torna, ancora una volta, al centro del discorso, in un periodo di crisi e incertezza globale che va solidificandosi e incancrenendosi ormai da decenni, legittimando tutta una serie di disuguaglianze e ingiustizie e nascondendo carenze strutturali. Disagio e competizione, tipiche del sistema meritocratico, che ritornano anche nella riflessione e critica del lungometraggio Tar di Salvatore Gucciardo.

Tornando però sui veri protagonisti della cerimonia – posto che si possano isolare completamente da tutte le persone che contribuiscono alla loro realizzazione – i film nominati riescono ad analizzare e narrare storie tra loro distinte, lontane, ma equamente importanti. Ci ricordano che il mondo in cui viviamo così in bianco e nero, così rigidamente distinto alla fine non è. Ci ricordano che la realtà ha sempre diversi e profondi livelli di analisi, un multiverso di interpretazioni potremmo dire, ispirandoci a Everything, Everywhere All At Once, che riesce a dare un maggiore spessore e dignità al tema del multiverso, distaccandosi dall’egemonia del Marvel Cinematic Universe (cfr. Everything Everywhere All At Once). Complessità che si ritrova in Avatar, che, come il primo film, si sofferma sul rapporto con la natura, sullo sfruttamento incessante da parte degli animali-umani di quest’ultima, e sulla necessità di un cambio di paradigma verso una visione olistica e integrata. 

Questi Oscar, quindi, ci ricordano che i film sono una delle migliori forme artistiche per analizzare la società, attuali e del passato, così come per rappresentare, dare spazio, voce e visibilità a storie non raccontate e stimolanti.  È un importante promemoria che la vita è ricca di zone grigie e complessità, raramente comprensibile in distinzioni nette.  

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