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Il 9 Aprile, Il Dott. Paolo Barbaro, École pratique des hautes études, PostDoc, ha tenuto una conferenza sull’astronomia popolare ed etnoastronomia giapponese, in un evento organizzato dall’Associazione studentesca Ca’ Foscari GESSHIN. Dopo la conferenza, lo abbiamo intervistato per saperne di più sul suo campo di studi.
Marco Zaupa: Cosa può dirci di quello di cui si sta occupando, del progetto su cui lavora attualmente?
Dott. Paolo Barbaro: In questo momento, mi occupo della disciplina detta “etnoastronomia”, e in particolare, sto studiando quello che è il possibile apporto di popolazioni austronesiane, quindi del gruppo linguistico e culturale che copre l’area che va dalle Filippine e Taiwan giù fino alla Nuova Zelanda, nel Giappone preistorico e protostorico, da un punto di vista non solo etnoastronomico, ma anche linguistico e del folklore.
Marco: Nel corso della sua lezione, ha menzionato più volte che si lavora “per supposizioni”, come molto spesso accade in discipline simili. Quali sono le difficoltà a cui si va incontro quando si sa già che non si giungerà a qualcosa di certo?
Dr. Barbaro: Secondo me stiamo solo ricordando quello che è il metodo scientifico, in cui non si hanno dogmi, si utilizzano supposizioni e ipotesi, e si tiene un modello della realtà fino a quando uno migliore non venga proposto. Nel caso specifico, è vero che, avendo a disposizione meno dati, le ricostruzioni sono smentite più frequentemente che non in altre scienze, però non ci sono difficoltà: dobbiamo solamente accettare la nostra ignoranza.
Marco: Considerando tutta la spazzatura di disinformazione che gira attorno all’astrologia, le è mai capitato, nella sua ricerca e nel suo lavoro, di vedere paragonata l’etnoastronomia a supposizioni come “questi sassi li hanno fatti per gli alieni”?
Dr. Barbaro: Non mi è mai successo che il mio lavoro fosse considerato così, però mi è capitato di incontrare molte persone che, forse per poca preparazione, vogliono vedere cose che non ci sono. Sono molti gli “ufologi”, così come ci sono alcuni giapponesi che vogliono rendere un’immagine della propria tradizione e cultura più alta o più complessa di quello che è, e quindi sovrainterpretano alcune cose.
Marco: Da quello che si è capito, l’etnoastronomia, in particolare giapponese, è un campo tutto da esplorare. Oltre alla reperibilità di materiale, quali sono le difficoltà o, allo stesso tempo, gli aspetti entusiasmanti di questo ambito?
Dr. Barbaro: A me entusiasma soprattutto che è tutto da scoprire, che è una gran bella cosa. Il motivo per cui la disciplina non è tanto avanzata è perché siamo in pochissimi a lavorarci, davvero si contano sulla punta delle dita, in Giappone come qui. Per menzionarne alcuni, ci sono altri due occidentali di lingua inglese che lavorano su tematiche simili e tre ricercatori giapponesi.
Marco: Visto che si tratta del sacro e delle tradizioni antiche giapponesi, c’è qualche remora per i giapponesi ad aprirsi verso occidentali che studiano la loro cultura più antica?
Dr. Barbaro: In parte. Quando si tratta di folklore no, c’è una quasi totale apertura a condividere quelle che sono considerate storie per bambini, se poi vogliamo vederci qualcosa dietro, sta a noi. Nelle tradizioni agricole, ad esempio, ho sempre trovato grande disponibilità. Nei villaggi mi è successo che si inizi a chiacchierare sulle stelle e ti portino da chi ne sa di più e sono contenti di condividere. La difficoltà, invece, è quando si inizia a lavorare con la cultura materiale. Soprattutto le tombe, i kofun, non li fanno scavare neanche ai giapponesi, sono chiusi e sono sacri, quindi lì non si va.
Marco: A proposito del folklore: come sopravvivono, al giorno d’oggi, le conoscenze più antiche, quelle che facevano parte della tradizione e trasmissione orale?
Dr. Barbaro: C’è più di una tendenza. Quando si parla di folklore, c’è un certo interesse a tramandarlo, ma questa processo avviene abbastanza naturalmente, il racconto e la narrativa sono strategie di ogni cultura. Per quanto riguarda l’uso delle stelle in ambiti specifici, quello sta un po’ scomparendo anche perché sono subentrate delle tecnologie, ad esempio GPS e sonar nella pesca. I metodi tradizionali di pesca stanno scomparendo perché sono sostituiti da imbarcazioni più grandi, e lì effettivamente si registra una scomparsa e poco interesse a tramandare quelle che sono considerate tecnologie ormai obsolete, non sono percepite come folklore. Quando è folklore, è più probabile che sopravviva.
Marco: Un’ultima domanda: secondo lei, dove sta l’importanza maggiore dell’etnoastronomia e qual è il contributo principale che può dare alle altre scienze?
Dr. Barbaro: È una domanda complessa. Innanzitutto perché è una scienza abbastanza transdisciplinare. Ad esempio, può aiutare nella linguistica: abbiamo tanti dubbi sull’origine del giapponese e se riusciamo ad individuare alcuni campi, soprattutto legati a tecnologie specifiche, nei quali ci siano prestiti linguistici, potremmo affermare che ci sia stato uno scambio di qualche tipo tra la popolazione proto-giapponese e di altri luoghi. Lo stesso vale per storia, preistoria, studi di folklore…è un ambito piuttosto vasto.
Marco: La ringrazio molto. È stata decisamente una lezione molto interessante.
di Marco Zaupa
Venezia, 9 Aprile 2019
Foto: Urashima Tarō, protagonista dell’omonimo racconto popolare giapponese. Nel racconto, le figlie del protagonista rappresentano le stelle Pleiadi e Iadi.