Ecco come le penne a sfera hanno ucciso il corsivo

Di recente [2014, n.d.t.], la Bic ha lanciato una campagna per “salvare la scrittura a mano”. Chiamata Fight for Your Write, la campagna include l’impegno solenne a “incoraggiare l’atto di scrivere a mano” a casa e all’interno della comunità di chi si prenda questa responsabilità. Viene inoltre enfatizzato il bisogno di più penne della Bic nelle aule scolastiche.

In quanto insegnante, non ho potuto evitare di domandarmi come si possa pensare che ce ne sia una carenza. Trovo penne a sfera ovunque: sui pavimenti delle aule, dietro ai banchi. Decine di naufraghe si raccolgono nelle tazze sulla scrivania di ogni insegnante. Sono tanto onnipresenti che la locuzione “a sfera” viene usata raramente: sono solo “penne”. Tuttavia, nonostante la sua popolarità, la penna a sfera è relativamente nuova nella storia della scrittura a mano, e la sua influenza sulla scrittura delle masse è più complicata di quanto vorrebbe la campagna della Bic.

La storia della creazione della penna a sfera tende a sottolineare il ruolo di alcuni individui chiave, in particolare il giornalista ungherese László Bíró, cui è attribuita l’invenzione. Ma come per molte storie di genio individuale, una prospettiva del genere oscura una storia ben più lunga di applicazione di un modello iterativo e di successi di marketing. Infatti, Bíró non fu il primo a sviluppare l’idea: la penna a sfera venne inizialmente brevettata nel 1888 da un tintore di pelli americano di nome John Loud, la cui idea, però, non andò mai oltre quel brevetto. Durante i decenni successivi, vennero emesse decine di altri brevetti per penne che usavano una punta a sfera di un qualche genere, ma nessuna di queste penne arrivò mai sul mercato.

Queste prime penne non fallirono per ragioni meccaniche, ma per l’inchiostro adottato. L’inchiostro da stilografica, il predecessore di quello da penna a sfera, è più liquido, per facilitarne lo scorrimento attraverso il pennino, ma se quell’inchiostro liquido viene usato in una penna a sfera, ne deriverà solo un aggeggio che perde e pasticcia ovunque. E fu proprio sull’inchiostro che László Bíró, con la collaborazione del fratello György, chimico, operò le modifiche cruciali. I due fecero esperimenti con inchiostri più densi e che si asciugavano più in fretta, a partire da quello usato per i giornali, per ottenere infine una penna che, grazie a un inchiostro e a una punta migliorati, non perdesse malamente (si tratta dopotutto di un’epoca in cui una penna era un grande successo quando perdeva inchiostro solo ogni tanto.)

I Bíró, tuttavia, vivevano in un’epoca travagliata. L’autore ungherese György Moldova scrive, nel suo Ballpoint (Punta a sfera), della fuga di László dall’Europa all’Argentina per scampare alla persecuzione nazista. Mentre i suoi accordi d’affari in Europa andavano in rovina, in Argentina il giornalista ottenne un nuovo brevetto per la sua creazione nel 1943 e iniziò la produzione. La svolta avvenne durante lo stesso anno, quando la RAF, alla ricerca di una penna che funzionasse ad altitudini elevate, comprò 30.000 delle sue penne. Ben presto i brevetti vennero venduti a varie aziende in Europa e nel Nordamerica e la penna a sfera iniziò a diffondersi per il mondo.

Gli uomini d’affari fecero grandi fortune comprando i diritti per fabbricare la penna a sfera nel proprio paese, ma uno in particolare merita la nostra attenzione: Marcel Bich, che comprò i diritti del brevetto in Francia. Bich non trasse semplicemente un profitto dalla penna a sfera, ma batté la concorrenza nel renderla economica. Quando comparve sul mercato per la prima volta, nel 1946, la penna a sfera costava circa $10, oggi circa $100. La competizione fece scendere costantemente il prezzo, ma il design di Bich lo portò al minimo. Quando la Bic Cristal comparve sui mercati statunitensi nel 1959, il prezzo era sceso a 19 centesimi a penna. Oggi, la Cristal viene venduta circa allo stesso prezzo nonostante l’inflazione.

Il successo universale della penna a sfera ha cambiato il modo in cui la maggior parte delle persone fruisce dell’inchiostro. Rispetto ai precedenti, quello più denso della penna a sfera è, infatti, meno portato a perdere. Per la maggior parte degli usi, questo fu un successo: niente più camicie macchiate, niente più bisogno di quelle protezioni per le tasche da sfigato stereotipato. L’inchiostro più denso, però, cambia anche l’esperienza fisica dello scrivere, e non necessariamente in meglio.

Non avrei notato la differenza, non fosse stato per il mio affetto nei confronti delle penne particolari, che mi ha portato alla mia prima stilografica di qualità. Una vita passata a scrivere con penne a sfera e variazioni di questa (penne a gel, penne roller) non mi aveva preparato a come scrive una stilografica. Il suo inchiostro lascia immediatamente un segno sulla carta anche al minimo tocco, senza pressione, sulla superficie. La mia grafia acquisì improvvisamente delle linee supplementari, che comparivano tra quelli che dovevano essere tratti separati. La mia mano, allenata dalla penna sfera, si aspettava che la diminuzione della pressione fosse sufficiente per smettere di scrivere, ma scoprii che, invece, dovevo sollevare completamente la penna dal foglio. Una volta che ebbi cominciato ad adattarmi a questo cambiamento, però, la sensazione fu quella di aver ricevuto un dono dal cielo: una pressione meno intensa sulla pagina significava meno sforzo per la mia mano.

La mia stilografica è moderna, forse non la migliore immagine della tipica penna degli anni ’40, ma presenta ancora alcuni degli inconvenienti delle stilografiche e delle penne d’oca di una volta. Devo prestare attenzione a dove appoggio la mano sul foglio per non rischiare di sbavare la mia ultima riga ancora umida in una macchia indistinta. E dato che l’inchiostro liquido scorre più rapidamente, devo ricaricare spesso la penna. La penna a sfera risolse questi problemi, dando a chi scrive una penna che dura a lungo e non sbava al basso costo di un po’ di pressione in più con la mano.

In quanto insegnante i cui studenti lavorano di solito con numeri e computer, la scrittura a mano non è per me una preoccupazione impellente come per molti altri miei colleghi. Ma ogni tanto mi capita di imbattermi sull’ennesima storia sul suo declino. Inevitabilmente, questi articoli si concentrano su come la scrittura a mano sia stata soppiantata da forme di comunicazione più nuove e digitali – battere a macchina o al computer, messaggistica, Facebook, Snapchat. Discutono come il tempo in classe per l’esercizio della scrittura a mano venga sostituito da lezioni su come scrivere al computer. Nel 2014, un articolo del New York Times (che è stato da quel momento ripreso dalla campagna della Bic Fight for Your Write) usava uno studio sulla RMF [Risonanza Magnetica Funzionale] per suggerire come la scrittura a mano possa essere meglio di un computer per l’apprendimento dei bambini.

Non riesco a ricordare quando sia stata l’ultima volta che ho visto degli studenti passarsi dei bigliettini, ma ricordo chiaramente studenti che controllano il cellulare (poco tempo fa e spesso). Nella sua storia della scrittura a mano, The Missing Ink, Philip Hensher ricorda il momento in cui ha realizzato di non avere idea di che aspetto avesse la grafia di un suo caro amico: “Non mi era mai parso strano, prima […] Avremmo potuto continuare così per sempre, senza neanche accorgerci che non avevamo più bisogno di scrivere a mano”.

Nessun bisogno di scrivere a mano? Sicuramente ci sarà una ragione se continuo a trovare penne ovunque.

Certo, il significato di “scrittura a mano” può variare. Per gli amanti della calligrafia, di solito non si tratta di qualsiasi rozza lettera creata con penna e inchiostro. Loro si immaginano le lettere fluide e unite del corsivo di Palmer (Palmer method), che ha dominato la pedagogia del primo e del secondo anno di elementari negli Stati Uniti per la maggior parte del XX secolo (o forse provano nostalgia per un passato che non hanno mai vissuto, immaginandosi lo Spencerian script, il corsivo del primo Ottocento). Nonostante la proliferazione di elogi della scrittura a mano, però, sembra che nessuno si opponga al fatto che tutti scrivono ancora. Il punto è che tendiamo a usare lo stampatello minuscolo invece del corsivo, e che lo usiamo meno spesso.

Ho un atteggiamento contrastante rispetto alla situazione. Mi ha turbato quando mi sono trovato di fronte uno studente che non era proprio in grado di leggere il corsivo, ma la mia stessa grafia è passata dal corsivo a una prevalenza di stampatello maiuscolo poco dopo che ho cominciato l’università. Come accade per la maggior parte dei cambiamenti graduali in fatto di abitudini, non riesco a ricordare perché sia successo, sebbene ricordi che il cambiamento avvenne in un periodo in cui dovevo copiare pacchi di appunti per le lezioni di matematica e ingegneria.

In Teach Yourself Better Handwriting (Impara a scrivere meglio), l’esperta di scrittura a mano e disegnatrice di caratteri Rosemary Sassoon rimarca come la maggior parte di noi abbia “bisogno di un modo di scrivere flessibile, veloce, quasi uno scarabocchio perfino per noi, e progressivamente più lento e leggibile per altri scopi”. Confrontando lo stampatello e il corsivo, sottolinea che “le lettere separate possono essere più veloci da scrivere di quelle unite molto raramente.” Quindi, se il corsivo è più veloce, perché avrei cambiato in un periodo in cui avevo così bisogno di scrivere velocemente? Considerato il tempo che passo al computer, sarebbe semplice per un osservatore supponente considerare la mia grafia come un’altra vittima della tecnologia. Ma conoscevo il corsivo, l’ho usato durante tutte le superiori, eppure l’ho abbandonato nel momento in cui mi sono trovato a scrivere di più.

La mia esperienza con le stilografiche suggerisce un’altra risposta: forse non è stata la tecnologia digitale a intralciare la mia scrittura, ma la tecnologia che impugnavo quando appoggiavo la penna al foglio. Le stilografiche vogliono collegare le lettere. Le penne a sfera devono essere convinte a scrivere, devono essere premute nella carta invece di limitarsi a toccarla. Le matite HB che usavo per gli appunti di matematica non cambiarono granché, dato che richiedevano una pressione simile a quella di una penna a sfera.

Inoltre, la tecnologia digitale non prese piede fino a che la stilografica non ebbe già cominciato il suo declino e la penna a sfera la sua ascesa. Quest’ultima divenne popolare introno allo stesso periodo in cui lo divennero i computer mainframe. Gli articoli sul declino della scrittura a mano risalgono almeno agli anni ’60, ben oltre la macchina da scrivere, ma un buon decennio prima dell’ascesa dell’home computer.

L’analisi di Sassoon su come ci viene insegnato a impugnare la penna costituisce un’argomentazione ben più rilevante a proposito del ruolo della penna a sfera nel declino del corsivo. Sassoon spiega che il tipo di impugnatura insegnata oggi nelle scuole è la stessa usata per generazioni, da molto prima che tutti scrivessero con le biro. Scrivere con le penne a sfera e altre penne moderne, però, richiede che queste vengano poste rispetto alla carta a un angolo più ampio e più vicino alla perpendicolare, posizione generalmente scomoda con un’impugnatura tradizionale. Ben prima che le tastiere dei computer provocassero il tunnel carpale in tante persone, la penna a sfera stava già causando strappi alle mani e ai polsi. Sassoon dice:

Dobbiamo trovare delle impugnature per le penne moderne che ci permettano di scrivere senza dolore. […] Dobbiamo anche incoraggiare l’adozione di lettere adatte alle penne moderne. A meno che non cominciamo a fare qualcosa di sensato in termini di lettere e impugnature, contribuiremo alla scomparsa della scrittura a mano più di quanto abbia fatto la venuta del computer.

Mi domando quante altre abilità banali, pensate per adattarsi a oggetti passati di moda, persistano oltre la loro utilità. Non è una novità che gli studenti una volta scrivessero con le stilografiche, ma saperlo non è come l’esperienza tattile di scrivere usandone una. Senza questa esperienza, è facile portare avanti la vecchia prassi senza per questo non notare che l’azione non si adatta più allo strumento. Forse “salvare la scrittura a mano” non è tanto una questione di invocazioni ciecamente nostalgiche quanto un processo di riesame dell’uso storico delle tecnologie come un mezzo per comprendere quelle contemporanee. In caso contrario, potremmo non renderci conto di quali abitudini valga la pena trasmettere e quali invece siano vestigia di circostanze ormai passate.

Articolo originale: How the Ballpoint Pen Killed Cursive, di Josh Giesbrecht

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