Riusciamo solo a fatica a guardare nella direzione dell’accecante luce che ci muore di fronte. Uno splendore dorato che cattura tutto il visibile per un ultimo, drammatico istante. Già il sole è scomparso dietro le colline, presto – troppo presto – non vi sarà più luce.
Di fronte a noi, in primo piano, delle giovani, belle ragazze sembrano officiare un rito, più che limitarsi a raccogliere le foglie per bruciarle. Una scena che dovrebbe essere di fatica per il compito svolto risulta invece di tregua immobile, un istante, appunto, quasi rubato al tempo. Il fuoco non ha ancora cominciato a divorare le foglie secche, si può solo vedere del fumo spirare dalla pila.
John Everett Millais (1829-1896) dipinse questo quadro probabilmente influenzato da alcuni versi di The Princess di Alfred Tennyson (1809-1892): «Tears, idle tears, I know not what they mean, / Tears from the depth of some divine despair / Rise in the heart, and gather to the eyes, / In looking on the happy Autumn-fields, / And thinking of the days that are no more». Il lavoro di Millais crea un’atmosfera contemplativa, sospesa, che invita alla riflessione sul tema del decadimento e sull’essenza transeunte delle cose, in particolare della bellezza. Il momento autunnale di passaggio tra l’estate e l’inverno, il crepuscolo, le foglie secche che stanno per essere ridotte in cenere. La giovinezza e la bellezza delle ragazze un giorno sfiorirà, così come – se vogliamo leggere la mela in mano alla bambina bionda come un richiamo al peccato originale – la beatitudine dell’uomo. Le ragazze più grandi ci guardano direttamente negli occhi, austere, rammentandoci che questa condizione è comune a ciascuno e a ogni cosa.
È però proprio questa inafferrabilità, questa impossibilità di fissare la bellezza nella realtà sottraendola al tempo ad amplificarla. Essa diventa struggente, e i pochi istanti concessici per ammirarla tanto più preziosi, in quanto, come sottolinea Tennyson, presto non saranno più.
Il tema della caducità delle cose e del rimpianto della bellezza e della giovinezza passata si ritrovano nella letteratura e nell’arte di ogni tempo. Già in Omero i giovani eroi spirano gridando di dolore per il fiore di giovinezza perduto, e in particolare da Mimnermo di Colofone (VII-VI sec. a.C.) viene sviluppata l’immagine delle foglie dell’episodio omerico di Glauco e Diomede (Iliade, VI, vv.119-236) nel fr. 2 West. Il topos della giovinezza che sfugge all’uomo e delle bellezze terrene e naturali come soggette al decadimento e alla scomparsa si ritrova in Catullo, Orazio, Petrarca, Giorgione, le nature morte del Seicento, …
ἡμεῖς δ’, οἷά τε φύλλα φύει πολυάνθεμος ὥρη
«Noi invece, quali foglie fa nascere la fiorita stagione
ἦρος, ὅτ’ αἶψ’ αὐγῇς αὔξεται ἠελίου,
di primavera, non appena crescono ai raggi del sole,
τοῖς ἴκελοι πήχυιον ἐπὶ χρόνον ἄνθεσιν ἥβης
ad esse simili per breve tempo dei fiori di giovinezza
τερπόμεθα, πρὸς θεῶν εἰδότες οὔτε κακὸν
godiamo, dagli dei non conoscendo né male
οὔτ’ ἀγαθόν· Κῆρες δὲ παρεστήκασι μέλαιναι,
né bene; e le Kere ci stanno accanto nere,
ἡ μὲν ἔχουσα τέλος γήραος ἀργαλέου,
l’una tenendo la fine della dolorosa vecchiaia,
ἡ δ’ ἑτέρη θανάτοιο· μίνυνθα δὲ γίνεται ἥβης
quell’altra della morte; e pochissimo dura di giovinezza
καρπός, ὅσον τ’ ἐπὶ γῆν κίδναται ἠέλιος.
il frutto, quanto cioè sulla terra si volge il sole.»
Mimnermo, frammento 2 West
Tuttavia, la ricerca estetica dei Preraffaelliti (cui apparteneva Millais) e quella di parte della sensibilità artistico-letteraria dell’Ottocento si concentra in particolare sul connubio bellezza-morte. Il germe della caducità già presente nell’arte precedente viene ripreso e rielaborato in una chiave specifica: la ricchezza, la sensualità, l’intensità della bellezza viene fissata nella sua opulente decadenza. I colori, le espressioni poetiche, le immagini, si concentrano sul fissare momenti di bellezza straordinaria e struggente nella sua istantaneità, nella sua intrinseca incapacità di resistere al tempo e al suo inesorabile, inarrestabile corso. «O Death in Life, the days that are no more!»
Questo immaginario e il suo sentire saranno poi determinanti nell’atmosfera fin de siècle, che porterà questo connubio ai suoi estremi, come nella Salomé di Oscar Wilde (1893) o in lavori come le Giuditta e Giuditta II di Gustav Klimt (1901 e 1909).


