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Presentati! Il tuo nome, cosa hai studiato a Venezia, quando hai vissuto a San Servolo e tre aggettivi per descriverti.
Sono Paolo Bertini, ho iniziato la laurea triennale in Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio nel 2013; il mio percorso Collegiale, a San Servolo, è quindi durato dal 2013 al 2016. Faccio parte della ormai leggendaria seconda coorte di collegiali. I miei tre aggettivi sono ansioso, ridondante e… chiedo aiuto alla mia coinquilina! Ecco, disordinato!
Qual è il tuo primo ricordo di San Servolo?
Il mio primo ricordo mi è stato, per così dire, “impiantato”. Era una giornata molto piovosa, e imprudentemente avevo preso il battello 1 per il tragitto da piazzale Roma a San Zaccaria: 54 minuti di viaggio non esattamente piacevoli, in compagnia delle occhiatacce di un anziano signore che mi giudicava per l’eccessivo ingombro delle mie valigie. Ero il primo della mia coorte ad arrivare sull’isola, prima ancora del mio coinquilino, e nonostante il pessimo clima San Servolo era già in pieno rigoglio. Arrivato in camera sono immediatamente collassato sul mio letto. A svegliarmi fu il messaggio su Facebook del mio coinquilino, che era entrato in camera, si era per un attimo spaventato e, dopo aver capito che stavo dormendo, aveva silenziosamente lasciato la stanza.
Raccontaci un aneddoto divertente che ricordi vividamente dai giorni passati a San Servolo.
Ho tre distinti ricordi che ruotano però tutti attorno a un oggetto: il davanzale della mia camera. Pochi giorni dopo il mio arrivo a Venezia mi ero comprato un nuovo paio di scarpe di cui andavo molto fiero. A seguito di una giornata di acqua alta, le avevo messe sul davanzale ad asciugare ma, dopo aver inavvertitamente aperto la finestra, la mia scarpa sinistra diventò il primo oggetto della mia coorte a precipitare in laguna e galleggiare lontana verso il pontile. Il medesimo davanzale divenne poi il luogo da cui, durante una sessione di esami particolarmente noiosa, io, il mio coinquilino e un’altra collegiale tentammo di ammaestrare un gabbiano, affettuosamente soprannominato Chomsky, visto che in quel periodo stavamo studiando proto didattica. Il terzo ricordo è legato ai momenti di festa a San Servolo: probabilmente avevo bevuto un po’ troppo, la nausea prese il sopravvento e il davanzale divenne il luogo da cui mi… liberai.
Quale è la tradizione collegiale a cui eri più legato?
Direi le inaugurazioni degli anni accademici, alle quali avevano iniziato a coinvolgerci durante il mio primo anno, verso febbraio, quando dunque eravamo in Collegio già da qualche mese. Era un momento divertente per vestirsi eleganti e fare finta di essere importanti e poi… andare a bere! Ricordo anche con nostalgia la ritualità che ci dava il vaporetto e tutti i disagi ad esso collegati.

Vivere su un’isola della laguna di Venezia è un’esperienza che non molte persone hanno fatto, cosa definirebbe per te l’unicità di questa realtà?
Sicuramente, dal punto di vista pratico, il disagio principale era dato dai trasporti e dagli spostamenti, non tanto quelli all’interno della laguna, ma quelli per distanze più grandi. Ricordo di quando dovevo prendere un Flixbus alle 7 del mattino, un’operazione un po’ complicata visto che il primo vaporetto partiva da San Servolo alle 7.05. Avevo quindi deciso di salire sull’ultimo battello notturno, alle due, e passai quella notte a fare la spola, navigando tra San Zaccaria e Piazzale Roma e aspettando il mio orario di partenza. A quell’età potevo sicuramente permettermi un’avventura del genere, ora la mia sciatica me lo impedirebbe.
Un altro aspetto è quello riguardante la socialità, fortemente influenzata da questo isolamento coatto a cui eravamo costretti in certe fasce orarie per motivi logistici; eri forzatamente tenuto a passare molto tempo con gli altri compagni e questo faceva nascere una comunità più chiusa, ma anche forse più affiatata. Molti dei miei più cari amici li ho conosciuti durante quegli anni e riconosco che se non fosse stato per questo aspetto del Collegio probabilmente queste amicizie non avrebbero mai avuto modo di nascere.
Se potessi donare qualcosa di San Servolo agli attuali collegiali di Santa Marta, cosa daresti loro?
Rispondendo in modo un po’ paternalistico, dico l’adattabilità. Ovviamente, quando sono entrato io, il Collegio era molto diverso, sia come istituzione che come infrastrutture. Anche solo pensando alla situazione cucina: cinquanta persone si trovavano a cucinare con qualche piastra elettrica e qualche bollitore. Non era di certo una cosa semplice, ed una situazione che forse non sarei riuscito a sopportare anche durante gli anni della magistrale, figuriamoci adesso. Quindi questa capacità, oltre che donarla ai collegiali di adesso, la donerei volentieri anche al me stesso di adesso.
Più scherzosamente, invece, direi la sensazione di invulnerabilità e non imputabilità che deriva dal vivere in un posto come l’isola di San Servolo. Abbiamo fatto cose che probabilmente ci farebbero rischiare il posto nel campus di Santa Marta. Ricordo che una volta, per una festa, avevamo fatto qualche litro di sangria in un cassetto del frigo; a festa finita, avevamo portato il cassetto ormai vuoto in processione nel lato opposto dell’isola e lo avevamo nascosto dietro una tenda vicino alla reception. Il mattino seguente, fu una caccia al tesoro per capire dove avevamo messo questo cassetto del frigo. Il pensiero di essere riusciti a fare cose come queste sotto gli occhi vigili (ma evidentemente non troppo) dell’istituzione fa sorridere.
Cosa hai provato l’ultima volta che sei salita sul 20 da collegiale?
In realtà, niente di particolare perché… pensavo che sarei tornato! Inizialmente avrei voluto fare anche la laurea magistrale in Collegio, ma per vari motivi ho poi deciso di proseguire il mio percorso Ca’ Foscarino al di fuori. Quindi è stato un addio molto sereno, auguro a tutti di sentirsi così, è stato un po’ come andarsene nel sonno. Poi in realtà la mia presenza a San Servolo si è prolungata ancora un po’, perché spesso tornavo lì per andare a trovare i miei amici; addirittura il mio primo anno da non collegiale ero arrivato sull’isola prima di alcune matricole, che si ritrovarono me nella stanza insieme ai compagni che già conoscevo. Anche ora il rapporto con il Collegio non si è interrotto del tutto, perché mi sono ritrovato dall’altra parte della cattedra in veste di tutor di un corso triennale frequentato anche da qualche collegiale!
di Camilla Benagli e Matteo Carrassi
Foto di Paolo Bertini
