Aprì la portiera dell’automobile, vi entrò e ci si chiuse dentro.
Alzò la manica del giubbotto e guardò l’orologio: le lancette segnavano le 21:20, era in anticipo di cinque minuti.
Frugò nella borsa alla ricerca del suo CD preferito e, una volta trovatolo, lo infilò nello stereo dell’auto e premette “play”.
Fuori faceva molto freddo. Le strade ed i tetti delle case erano coperte da un sottile, ma fatale strato di brina. Le grondaie erano imperlate di minuscole gocce di ghiaccio ed un gatto impavido camminava elegante sul cancello di una casa, come un equilibrista sotto il riflesso della Luna.
Appoggiò la schiena al sedile e chiuse gli occhi, attendendo, dopo le note jazz scritte da Cole Porter, l’arrivo della profonda voce di Ella Fitzgerald, pronta a scaldarla e a coccolarla in quella notte invernale.
Aveva acquistato quel CD quattro anni prima in una bancarella di Portobello Road. Ricordava il freddo, la felicità di camminare spensierata per le strade londinesi, tra bancarelle di cibo cinese ed antiquariato, mentre i mimi la rincorrevano ed un imitatore di Charlie Chaplin si inchinava al suo passaggio salutandola. Si era imbattuta per caso in quella bancarella di CD e vinili di seconda mano. Voleva comprarli tutti, ma quando aveva visto la raccolta delle canzoni di Cole Porter cantate da Ella Fitzgerald, si era resa conto che tutto il resto non aveva più importanza né valore e che nessuno al mondo avrebbe potuto interpretare con più sincerità la profonda anima del jazz. Lo acquistò subito. Ricordava il proprietario della bancarella. Era anziano, ma bastava un rapido sguardo ai suoi occhi cerulei per capire che, sotto quella pelle ruvida e rugosa, si nascondeva uno spirito giovane ed innamorato. Le chiese due sterline, mentre i suoi occhi marini le inviavano un messaggio di complicità.
Ormai Begin the Beguin era terminata e le lancette dell’orologio segnavano le 21:24.
Infilò le chiavi e le fece girare con uno schiocco. L’automobile si accese in un boato, facendo fuggire il gatto e disturbando la tranquillità della Luna.
Le strade erano vuote e scivolose, procedeva con calma, respiro dopo respiro, godendosi il jazz ed il riflesso della Luna che si appoggiava come un manto di seta dorata sulle cime degli alberi e sui campi ghiacciati. Non riusciva a smettere di sorridere, mentre canticchiava sulle note di Let’s do it, let’s fall in love.
Era arrivata. Parcheggiò l’automobile e la spense, spegnendo con lei la voce di Ella. Alzò nuovamente la manica del giubbotto e guardò l’orologio: le 21:30. Era in perfetto orario.
Frugò nuovamente nella borsa, questa volta alla ricerca del cellulare. “Sono qui”, scrisse, ed inviò il messaggio. Infilò il cellulare in tasca ed aspettò.
Sopra di lei il manto ebano della notte era puntellato di stelle. Si trovava in un piccolo paese di provincia, campi, qualche bar frequentato da anziani, una pizzeria, un tabacchino, una farmacia, un fruttivendolo ed una chiesa. Eppure, sopra ai vecchi che giocavano a carte e sopra alle famiglie che guardavano la televisione, splendeva il cielo stellato, una delle notti più belle.
Nello specchietto dell’auto apparve una figura nera, alta… era lui.
Unì i palmi delle mani, li avvicinò alle labbra, vi soffiò, li sfregò tra di loro, aprì la portiera e scese dalla macchina chiudendosela alle spalle.
Mentre gli andava incontro lo guardava. Era alto, i capelli neri gli stavano scompigliati sulla testa e gli occhi smeraldo illuminavano la notte più di quanto fossero in grado di farlo tutte quelle stelle che, dall’alto, li stavano osservando. Era bellissimo.
E mentre pensava che nemmeno una guerra nucleare avrebbe potuto distoglierla dalla sincerità di quegli occhi, sentì appoggiarlesi sulla punta del naso un tenero fiocco di ghiaccio.
Si fermò. Ed anche lui si fermò.
La guardò, sorridendo, inclinare verso l’alto la testa, guardando il cielo.
I fiocchi cadevano, candidi e gelidi, sul suo viso, sul suo giaccone, sulle sue scarpe, sul suolo, sugli alberi, sui tetti delle case, su quegli occhi smeraldo, danzavano nell’oscurità della notte riflettendo la stelle e la felicità che riempiva il cuore di quella ragazza, così semplice, così ingenua. Aprì le braccia verso il cielo e cominciò a girare su stessa, cercando di catturare quelle gocce di cotone e zucchero filato. Rideva, rideva come non mai.
Si fermò, lo guardò negli occhi e ricambiò il suo sorriso.
Si corsero incontro, si abbracciarono e lei appoggiò la testa sul suo petto, mentre lui le accarezzava i capelli bagnati dalla neve.
“Nevica?”
“Nevica.”
di Giulia Barison